SE QUESTO E’ UN GIORNALISTA di Michele De Lucia

 

E’ stato pubblicato, dall’editore Kaos, il nuovo libro di Michele De Lucia “Se questo è un giornalista. Ritratto biografico di Augusto Minzolini, gazzettiere del berlusconismo”, (pagg.240, 18 euro). Avremo tempo e modo di occuparcene nei prossimi giorni. Oggi pubblichiamo la “Premessa” dello stesso De Lucia al volume.

L’unica ragione che giustifica questo lavoro biografico sul conto del giornalista Augusto Minzolini deriva dal fatto che è il direttore della più importante testata informativa nazionale. Infatti il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il 20 maggio 2009 lo ha sistemato al comando del “TG1” della RAI.

Se non fosse per la superpoltrona della TV di Stato, Minzolini non meriterebbe tanta attenzione. Una carriera giornalistica, la sua , tutta all’ombra del potere (di turno) e scandita dalle smentite: nel suo quarto di secolo da cronista politico, non si trovano pagine da ricordare. Del resto l’Augusto cronista è privo della scaltrezza ruffiana e irruenta di un Giuliano Ferrara, né possiede la rutilante faziosa forcaiola di un Vittorio Feltri: la sua è grigia burocrazia applicata al giornalismo politico italiano. Perché la partitocrazia tutta intera, e l’onorevole Berlusconi in particolare, non amano i giornalisti liberi e indipendenti, né si possono permettere la correttezza e la completezza dell’informazione (rischierebbero di essere mandati a casa dai cittadini-elettori). Il rispetto del diritto a “conoscere per deliberare” è il presupposto indispensabile della democrazia, ma il bavaglio indossato il 18 maggio 1978 da Marco Pannella durante una tribuna televisiva RAI, a distanza di tanti anni è ancora legato ben stretto. In questo senso, Minzolini può essere ritenuto un semplice effetto, uno dei tanti direttori di nomina partitocratrica che da allora si sono succeduti nei TG della RAI-TV.

In realtà, a ben guardare oggi c’è un di più e un peggio. Il “Tg1” di Minzolini è una forma di degenerazione ulteriore al regime informativo DC-PC che oppresse la “Prima repubblica” con la lottizzazione tripartitica a una specie di monoscopio informativo del partito berlusconiano: monopolio della TV privata, e egemonia nella RAI. Dei sette telegiornali nazionali (tre RAI, tre Mediaset e uno La7), cinque sono di strettissima osservanza berlusconiana, a partire dai due più importanti, “TG1” e “TG5”. E se nella Prima repubblica i responsabili dei telegiornali avevano in tasca la tessera partitica, nella Seconda spesso i direttori sono addirittura dipendenti, oppure stipendiati come collaboratori, del capopartito Berlusconi.

La TV è il cardine del berlusconismo, un cardine inteso sia quale strumento comunicativo, sia come veicolo formativo sociopolitico e culturale. Ne è un esempio la questione dell’allarme-criminalità, provocato artificialmente nel biennio 2006-07 (anni del governo di centro-sinistra) attraverso il rilievo abnorme e allarmistico dedicato dai telegiornali alle notizie di cronaca nera (proprio in un periodo in cui i reati erano invece in diminuzione): il conseguente “allarme sociale” è poi stato utilizzato e strumentalizzato con successo dal partito berlusconiano a fini politico-elettorali.

Eppure ci sono ancora certi giornalisti, taluni commentatori e qualche politologo impegnati a sostenere che il controllo della TV e dell’informazione non conta niente e non sposta i voti – come dimostrerebbero certe sconfitte elettorali del partito berlusconiano. Costoro fingono di non sapere che senza il monopolio della TV privata il partito Forza Italia neppure sarebbe nato. Costoro fingono di non capire che attraverso il controllo dell’informazione si può truccare la realtà, alterare la percezione dei fatti, decretare il successo o meno di una idea, di una campagna, di un movimento politico. E grazie alla TV, una disfatta elettorale può anche diventare una sconfitta di misura…

La degenerazione berlusconiana della informazione televisiva, basata sul più colossale conflitto d’interessi mai visto in una democrazia occidentale, ha trovato in Minzolini un vero e proprio simbolo. Un giornalista che senza manifestare alcun disagio, anzi il più delle volte con assoluta disinvoltura, si sdoppia: con una mano dirige il “TG1” come se il più importante televisione nazionale fosse una specie di “Prava” del centro-destra (faziosità, silenzi, censure, falsificazioni, servilismi); e con l’altra mano collabora – stipendiato – a un settimanale di proprietà dello stesso capopartito. In sostanza, il direttorissimo Minzolini è al servizio della doppia anima del potere berlusconiano: di quella politica, e anche di quella imprenditoriale.

Naturalmente, tutta questa situazione abnorme non ha meritato una sola parola da parte dell’Ordine dei giornalisti, a conferma di quanto scriveva Luigi Einaudi nel lontano 1945: “Ammettere il principio dell’albo obbligatorio sarebbe un resuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli e dei non conformisti”.

Secondo la cultura anglosassone, il giornalismo dovrebbe essere il cane da guardia del cittadino rispetto al potere e ai potenti. Nel giornalismo italico alla Minzolini, quel cane da guardia ha la museruola, è al guinzaglio del potere, ha la cuccia in Parlamento e la scodella nella villa di Arcore.

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