LA COMMEDIA DI ORLANDO: UN MONDO FUORI CONTROLLO TRA PAURE E SPERANZE

 

Ero prevenuto, lo ammetto. Prevenuto come sempre accade quando si tratta di teatro italiano con nomi di richiamo. Ma non c’è da biasimarmi visto che persino soggetti come Valeria Marini hanno calcato la scena.

La Commedia di Orlando offre dei “più“ notevoli per il panorama italiano, ma non si esime certo da alcuni “meno” estremamente incisivi sull’andamento della messa in scena.

Orlando, personaggio dell’omonimo romanzo di Virginia Woolf, attraversa i secoli affrontando speranze che si tramutano in delusioni amare, cercando senza  sapere e senza trovare, creando e disfacendo tutto, dalla propria opera letteraria al suo stesso sesso, divenendo donna, teso sempre e solo alla conquista di ciò che da sempre muove l’essere umano, ovvero l’appagamento dello spirito, la pace e la serena accettazione di un mondo su cui non abbiamo il pieno controllo. E’ questa il concetto che, tra i tanti contenuti nel romanzo, è stato scelto dalla regista Emanuela Giordano. Perché nel suo Orlando si precipita nel tempo senza accorgersene, fino a ritrovarsi in una modernità che dovrebbe terrorizzare, e invece offre, accanto alle paure, delle perle di bellezza e speranza.

Costumi efficaci, scenografia funzionale (anche se non capisco questo amore per il grigiastro che riempie tutto lo spazio scenico), trovate a volte intelligenti per  scardinare il palco dalla sua immobilità, rendendolo uno spazio aperto, vivo, cangiante, gioco con il testo e con l’azione.

Isabella Ragonese veste i panni maschili indubbiamente meglio di quelli femminili e fa vedere, nonostante si gridi “brava, brava”, quello che normalmente un attore dovrebbe fare dal momento che si accinge a calcare un palcoscenico: un lavoro di studio sul carattere e sulle movenze del personaggio, rigore nel mantenerlo vivo e credibile e poco snobismo.

Altra piccola perla è la ragazzina mora che fa la servetta, Claudia Gusmano, che offre un po’ di verità e semplicità, aldilà delle declamazioni impostate e stanche.

Queste le cose estremamente positive. Non potete capire quindi quale dolore sia stato vedere crollare nel secondo atto un livello così accettabile: non ha resistito la regista alla tentazione di far divenire tutto una chiacchiera, di far raccontare la storia senza farla accadere.

Altre note dolenti sono state: eccessiva velocità verbale per dare ritmo nel primo tempo,  due servitori uomini che non avevano capito che non stavano interpretando Pulcinella e Arlecchino, cambi di scena a vista, che di per sé non mi dispiace, ma vuoti e senza storia, salvo alcuni fugaci momenti, insomma, come si può vedere i “meno” non mancano. Eppure, nel complesso, un lavoro buono, inaspettato e con una certa sostanza.

(RE CARLO)

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