IN ESCLUSIVA: IL LADRO DI NATALE, RACCONTO DI CARLO BARBIERI

 

Pubblichiamo in esclusiva per Messinaora il racconto di Natale dello scrittore Carlo Barbieri.  Da leggere tutto d’un fiato.

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Il bus si fermò con uno stridio di freni e le porte si spalancarono con un sospiro. Non scese nessuno – il capolinea era troppo vicino – e salirono in cinque. L’anziano signore salì con un po’ di fatica, lo sguardo basso, la testa incassata fra le spalle. Mai salire al capolinea, perché c’è poca gente in giro. Mai salire per primo, mai per ultimo. Mai guardare la gente in faccia. Prima regola: passare inosservati… e lui era stato fortunato: era nato anonimo. Né bello né brutto, occhi indefinibili, capelli castani, statura media, nessun segno particolare. Se ne era accorto fin dalle elementari, con i maestri che ricordavano il nome di tutti tranne il suo… e da quel momento era andata avanti così.

La prima volta che aveva rubato su un autobus era stato un disastro. La vittima se ne era accorta e lo aveva visto bene in faccia, ma lui era riuscito per miracolo a fuggire saltando giù dal mezzo prima che si fermasse del tutto. Appena il tempo di gettare via il portafoglio e di entrare in un grande negozio, ed ecco il derubato – un signore ben messo, robusto e deciso – entrare e guardare tutti, attentamente, uno per uno. Ma non lo aveva riconosciuto.

Nel tempo aveva imparato a confondersi sempre meglio tra la gente, a “sciogliersi” nell’ambiente in cui operava, intanto che la sua mano diventava sempre più leggera e la sua mente più acuta. Era proprio la capacità di “leggere nella testa degli altri” a renderlo il più bravo di tutti: campava bene perché riusciva ad individuare sempre quelli pieni di soldi e non era stato un solo giorno dentro perché sapeva sfruttare i momenti di distrazione delle vittime per non farsi beccare.

Ed eccolo ancora una volta sulla linea su cui lavorava più spesso. Non l’aveva scelta a caso. Il capolinea era nella zona più ricca della città, piena di uffici e negozi, ancora più viva ed elegante quella vigilia di Natale. All’altra estremità, il quartiere forse più povero e malfamato, noto per le storie di delinquenza e degrado, scarsamente illuminato, dove l’unica cosa natalizia che si era vista fino a quel momento era stato un camion con il suo carico di panettoni e bottiglie a basso prezzo in vendita sul marciapiede.

Il Borseggiatore abitava a due terzi del percorso, in un fabbricato anonimo come lui. L’autobus era il suo posto di lavoro, un posto di lavoro praticamente sotto casa. Un lavoro che fruttava di più da quando, fra problemi di parcheggio e targhe alterne, tante persone col portafoglio ben fornito, che non si erano mai sognate di abbassarsi a prendere un autobus in vita loro, avevano cominciato a servirsene.

I negozi erano chiusi da pochi minuti, la gente tornava a casa… cominciò a cercare gli obiettivi guardandosi attorno con aria apparentemente distratta. Scartò un ragazzo con il suo Rolex probabilmente nuovo, visto che lo guardava in continuazione… troppo pericoloso… scartò una signora con una borsa Gucci taroccata semiaperta… e finalmente lo vide salire. Giaccone di montone firmato, orologio tuttodorocinturinocompreso, un tipo da SUV da centomila euro con il cellulare incollato all’orecchio. Parlava a voce alta, come se su quell’autobus ci fosse solo lui: «Ma come non venite? Ma cheddici, ci ho pure lo sciampagn ca ti piace a ttia… no, a capodanno io non ci sono, siamo alle Seicelles con Ciccio e Meri…».

Era la situazione ideale, niente distrae più di una bella telefonata al cellulare. L’autobus adesso era pienissimo e lui era nella posizione giusta. Bastò che si disancorasse dal sostegno e la folla lo spinse dolcemente verso la vittima. Scommise che il portafoglio era nella tasca posteriore destra… proprio in quel momento l’ Uomo Del SUV passò il telefono sull’orecchio sinistro senza smettere di parlare e si aggrappò con la mano destra al sostegno in alto. Il movimento sollevò il giaccone facilitando il lavoro del Borseggiatore. La punta delle sensibilissime dita gli confermò che il portafoglio c’era, ed era pieno. In un attimo, il taglierino incise con un solo movimento ad U dalla precisione chirurgica il pantalone all’altezza della tasca, seguendo la parte inferiore del rigonfiamento, e il portafoglio scivolò fuori dritto fra le sue dita. Un altro attimo e le banconote erano già nella sua tasca. Due secondi e si era già sbarazzato del portafoglio vuoto trasferendolo nella falsa-Gucci della falsa-ricca. Di nuovo lasciò che la folla lo spingesse un po’ più in là. Come prevedeva, l’Uomo Del SUV scese dopo due sole fermate, in piena zona “in”. Abitava sicuramente in uno di quei palazzoni ai cui condòmini il costruttore, certamente uno a cui non si poteva dire di no, aveva imposto il portiere di sua fiducia. Uno di quei manufatti di cemento che passavano, in una città che si era dimenticata delle belle costruzioni liberty di cui si era criminosamente liberata, per palazzi eleganti.

“Primo obiettivo centrato”, si disse il Borseggiatore, “ora comincia il difficile”. La fauna nell’autobus cambiava rapidamente. Scendevano i benestanti, attaccati ai cellulari, diretti verso riscaldamenti autonomi e cenoni. Salivano, stanchi e silenziosi, i loro schiavi: colf, badanti, lavavetri fuori servizio – niente più traffico, poche auto ai semafori, per oggi basta supplicare il permesso di lavare un vetro, basta con il nonono di tanti indici… fra poche fermate sarebbe dovuto scendere anche lui, o avrebbe rischiato di finire al capolinea del Quartiere Pericoloso. Bisognava scegliere rapidamente il secondo obiettivo… e la decisione fu immediata. L’aveva notata fin da quando era salita sull’autobus. Seduta proprio dietro l’autista, nera come il carbone, la pelle un po’ lucida, con un bambinetto di uno o due anni nero come lei dagli occhi cisposi, addormentato, avvolto in una specie di sacco vivacemente colorato che le pendeva dal collo. Triste, terribilmente triste, silenziosa. Immersa in chissà quali pensieri, in chissà quali ricordi di chissà quale terra. Nera di fuori e scura dentro. Accanto a lei un borsone di plastica con un manico più corto, certamente riparato alla faidatè… ed era aperto. Un’occasione d’oro.

Il Borseggiatore si avvicinò impercettibilmente, come un geco che punta. Un istante, e via. Anche questa era fatta.

Suonò il campanello appena in tempo per essere depositato alla fermata di casa.

Scese con cautela… le ginocchia maledizione gli facevano ogni anno più male… le porte si richiusero, e l’autobus si mosse con uno sfiato lamentoso. Si girò e fece in tempo a vedere un’ultima volta, per un solo istante, la donna col bambino sempre assorta nei suoi pensieri. Salì sul marciapiede e seguì con gli occhi il bus finché non scomparve.

Le parole gli vennero alle labbra senza che se ne accorgesse.

Una signora lo sentì e gli rispose, sorridendo: “Buon Natale anche a lei!”

Il Borseggiatore cercò in tasca le chiavi e si diresse lentamente verso casa, leggero, sentendosi uno stupido, vecchio, felice Robin Hood.

 

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