La Festa dei Morti al tempo di Halloween, quanta nostalgia

di Palmira Mancuso – Senza arricciare il naso, fino a pochi anni fa, ovvero prima che ritornasse d’importazione una “festa” che in qualche misura abbiamo trasferito noi nel “nuovo mondo”, in questi giorni si sarebbero festeggiati i morti.

Niente di macabro, s’intende. Piuttosto un rito familiare, che consentiva soprattutto ai più piccoli di ricordare i nonni, gli zii, quei parenti scomparsi dalla vista, ma non dal cuore.

E così, da bambini, questo non era il giorno di maschere e zucche, ma di fiori e ricordi, di doni scambiati con quel nonno che magari non avevamo avuto il tempo di conoscere, e che da lontano ci proteggeva e  ci lasciava persino un regalo.

Si, perché molti di quei genitori che oggi travestono i loro figli con maschere oscure, di streghe, fantasmi e zombie, associando inevitabilmente il concetto di morte a qualcosa di pauroso e angosciante, sono stati probabilmente gli ultimi di una generazione ad aver vissuto “la festa dei morticini”.

Generalmente, era la notte (tra 1 e  2 novembre) in cui, prima di andare a letto, si lasciavano sulla tavola apparecchiata pane, acqua e frutta: un pasto frugale per i cari defunti, che sarebbero passati per un saluto. Si andava a dormire non con la “paura del fantasma” nella stanza accanto, ma pensando che, pur senza vederle, queste anime avrebbero lasciato un segno del loro passaggio.  E così al mattino, la corsa era verso la cucina, dove il pane era stato sbocconcellato, l’acqua era quasi finita, la frutta era stata assaggiata. E che sorpresa il regalo che ci avevano lasciato i nonni, o quella cara vecchia zietta!

Frutta di martorana, “scardellini”, “ossa di morto”, persino giocattoli. E poi, un regalo “dall’aldilà” era sempre qualcosa di particolarmente speciale.

Insomma, il pensiero era subito quello di correre al Cimitero, e salutarli portando un fiore, in un luogo che durante il resto dell’anno ci avrebbe quasi fatto tremare, e che invece sembrava una piazza in festa, dove i vivi vanno a salutare i morti.

Senza voler scomodare grandi psicologi, crediamo che la tradizione dei “morticini”, tutta siciliana, rappresentasse un modo semplice di parlare della morte ai più piccoli, di riallacciare il filo invisibile tra gli affetti familiari presenti e passati, di sentirsi parte di una storia che prosegue.

E non è facile moralismo contro le teste di zucca…forse è solo nostalgia.

La stessa che con parole d’autore descrive Andrea Camilleri nei suoi Racconti Quotidiani:

“[…]anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”.

 

 

 

 

 

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it