“IL SAPERE DEL CORPO”, LA FILOSOFIA CHE LASCIA LA CATTEDRA: IL PROGETTO CON DETENUTI E AGENTI DEL CARCERE

Nel processo evolutivo che ha visto l’uomo crescere intellettualmente, abbiamo prodotto una cultura umanistica che, lungi dall’essere pratica, tende ad ignorare i bisogni del corpo concentrandosi sulla mente e tramite questa produce un’utopica idea di paradiso in terra. Di fronte alla constatazione che è tuttavia il corpo a rivelare i bisogni, è arrivato il momento di indagare questi bisogni a partire dalla realtà fisica. Innescare simile percorso significa anzitutto darsi degli strumenti, rendere pratico ogni sapere teorico.

Filosofi abbandonate le cattedre, quindi. L’esortazione, non esplicita ma intuibile, trova posto in Il sapere del Corpo, progetto di ricerca e formazione alla bioetica, ideato nell’ambito di Cogitazioni dalla filosofa e ricercatrice messinese Giusi Venuti.

Il progetto, approvato dall’azienda sanitaria provinciale, si pone l’obiettivo di provare a fare ricerca con le Scienze Umane, non limitandosi a osservare da lontano. Lo scollamento tra studi teorici e ricadute pratiche è facilmente percepibile. “I filosofi sono stati sempre con il naso all’insù- dice Giusi Venuti- si tratta di capire che le scienze umane e la filosofia possono costituire ricerca utile”. L’etica non è pura astrazione se la si verifica e la si sperimenta sul luogo di interesse.

L’ideazione del progetto parte dalla constatazione delle condizioni dei detenuti e dei luoghi di detenzione, rendendo così protagonista il carcere di Gazzi. Non è possibile ragionare su come si verifica praticamente l’etica della cura in carcere se non si analizza il mondo in cui questo è strutturato.

Il problema del sovraffollamento delle carceri non è certo da sottovalutare e la struttura stessa degli istituti penitenziari, volta alla protezione mediante l’isolamento piuttosto che al recupero, rende il carcere stesso contrario al senso di umanità. Ma la pena, lo dice la legge, non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Lo sottolinea la penalista Lucia Risicato che constata come anche le misure alternative alla detenzione siano fallimentari nel nostro paese. Non esiste un provvedimento svuota-carceri che possa ridurre i dati di sovraffollamento carcerario.”A livello penalistico- sottolinea la Risicato- c’è un collasso del sistema sanzionatorio prima ancora che penitenziario. I dati allarmanti, con più di dodicimila persone in carcere in attesa di giudizio, sono indice del fallimento del nostro sistema giudiziario”.

A sostegno di quanto detto, l‘Architetto Luciano Marabello denuncia un modello di carcere rimasto immutato nel tempo e dunque scollato dalle riforme che lo dovrebbero generare. “Nelle scuole di architettura nessuno insegna a progettare un carcere. Il carcere non è contemplato tra le tipologie da studiare”, denuncia. Queste strutture sono sfuggite alle scuole d’architettura per essere relegate a un sfera tecnica che pretende di considerare lo spazio come un elemento neutro. Ma lo spazio non e mai neutro, dato che contribuisce a realizzare le relazioni tra le persone. “Quello di Cogitazione dovrebbe essere percepito come un progetto civile”, conclude Marabello.

Nell’ottica multidisciplinare, l’idea è quella di costituire un’ equipe di professionisti afferenti ad ambiti di studio diversi. Il tentativo per la filosofia di aprirsi alle ricadute pratiche è funzionale alla comprensione del perché i luoghi di detenzione siano stati costruiti così come sono. Al fine della rilettura globale, dunque, sono stati richiesti contributi ad esperti di architettura, psicologia e diritto. Se la finezza culturale non viene trasferita nella realtà, tutto il suo significato si disperde. L’esigenza  è quella di uscire dalle accademie per dar vita ad un incontro di saperi che possano essere fattivi ed avere ricadute utili.

Il progetto non è stato accolto con entusiasmo dalla cultura ufficiale che ha piuttosto manifestato una certa resistenza. “Quando ci si apre a saperi diversi si scoprono i propri limiti e nessuno vuole vedere i limiti del proprio ambito di competenza”, questa la spiegazione della Dottoressa Venuti.

La fase propedeutica prevede una giornata dedicata agli studenti di giurisprudenza, con un incontro che si terrà giovedì 21 novembre alle ore 9.30 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina. All’incontro saranno presenti, tra gli altri, il direttore del Carcere di Gazzi, Calogero Tessitore, il Professore Girolamo Cotroneo, docente di Storia della Filosofia al’Università i Messina e Presidente dell’Istituto italiano di Bioetica, la professoressa Marianna Gensabella, membro del comitato nazionale di bioetica, il Prorettore alla legalità Antonio Saitta, il sindaco di Capo D’Orlando, Enzo Sindoni, che già nel 2012 finanziò con due delibere consecutive il progetto, e il sindaco di Messina Renato Accorinti.

In programma, poi, un laboratorio di etica applicata della durata di 30 ore, rivolto a detenuti e guardie penitenziarie del carcere di Gazzi. Il laboratorio, informa Giusi Venuti, non sarà avviato finché il progetto non verrà riconosciuto come un progetto scientifico. Solo così il carcere di Gazzi sarà un luogo per fare scienza.(LAURA MANTI)

 

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