LA STORIA CHE SCRIVE LA GEOGRAFIA: LUCIO GAMBI E LA REGIONE DELLO STRETTO

Il paesaggio della memoria finisce con l’apparire  distante, alternativo alle visioni e alle sensazioni del presente. Ed è nell’abitare questa distanza che è possibile cogliere lo spessore della vita che si è persa. Adesso nel presente che si fa memoria, in questa distanza, vive anche Lucio Gambi, come la nostra giovinezza: con la sua lezione e con il nostro crescere assieme, con Maria Teresa, con i nostri cari Amelia, Candida e Vito e  gli altri amici e maestri, dai 2 Samonà, a Quaroni, a Quistelli, a Cingari a Tito Martines, che ci corrispondevano…  nel cuore nessuna croce manca.

Insieme ad ancora altri intenti a leggere il volto di una città, del suo essere in perpendicolare sul mare. Al crocevia dei mari. Motivata dalla funzione di area di giunzione. E di Reggio, della Calabria, anche di quella raccontata dalla Utet.

Cambiare il volto di una <regione>, di una città, ci diceva, anche solo la facciata di una casa, significa cambiare il modo in cui la vedono e la comprendono coloro che vivono in lei, significa sfidare gli assunti culturali nei quali essi erano soliti vederla, comprenderla, nei quali era consuetudine viverci.

Un nuovo stile architettonico, nuovi modi per il paesaggio, sono anche un cambiamento del cuore, e  questo è qualcosa di più di una ricercata idea letteraria. Proprio perché i luoghi si imbevono dei ricordi e le case, le strade, i monumenti, nel tempo si rivestono di sguardi, di pensieri, del respiro degli uomini. Per questo la città “non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli corrimano delle scale”…ci raccontava Gambi, come poi avrebbe detto Calvino. E poi, con Baudelaire, ci invitava a leggerne i movimenti, le dinamiche, perché una <città cambia più in fretta del cuore dell’uomo>.

Siamo nella seconda metà degli anni ‘50. Nel dopo evento, in questo caso la guerra, è come se tutto si potesse ancora riscrivere, come se si potesse rifondare l’ insieme delle strutture, delle persone delle cose. E allora la storia, i valori storici, il talento visuale. E Lucio Gambi, proprio all’università di Messina, sembra anticipare i temi che poi saranno di rifondazione della geografia italiana e non solo: quelli della geografia per la storia e quelli appunto dei valori storici dei quadri ambientali che introdurranno, alcuni anni dopo, la monumentale storia d’Italia di Einaudi. Ma proprio perché sarebbe sbagliato pensare ad un’ azione meccanica dei fattori naturali su una umanità puramente recettiva, è a questa umanità che bisognerà rivolgersi per riappropriarsi del proprio mondo di valori, della propria cultura, per dare  senso alla fisicità dei luoghi, in un territorio che è tempo solidificato. Per pervenire all’efficienza di un processo che dipenderà dal modo in cui si accoppieranno le variabili socioculturali : luoghi, storia, valori, istituzioni e sapere diffuso. Anche la politica come anello che dovrebbe legare la cultura alla storia che diviene. E ce lo ricorda da par suo, il più grande dei geografi del ‘900, non solo italiani ci insegnavano Fernand Braudel ed Aymard.

La sua analisi, nei Quaderni di Geografia Umana per la Sicilia e la Calabria, che poi riprenderò negli anni 90, studierà tra molti temi che sarebbe lungo elencare ma tutti di uguale taglio culturale e di sapiente approccio metodologico,  i modi della rifondazione urbana dopo il terremoto del 1908, e ancor prima il declino di queste regioni per una sequenza di dolorose vicende locali, dalla rivolta antispagnola, a terremoti, a calamità varie . E sul dopo 1908 scriverà che “ il ripopolamento di Messina come quello di Reggio…fu opera in più saliente misura di famiglie provenienti dai comuni rurali delle aree prossime, fino a un raggio di un centinaio di Km., e di mediocri impresari e trafficanti provenienti da regioni settentrionali. In ogni caso fu inurbamento di una società priva di esperienze mercantili e di risorse…Da qui la depressione e sciattezza degli ultimi 50 anni…riflessa in una ricostruzione impersonale, quasi “coloniale”…e un certo provincialismo”.

Sarà la lettura storica (la lunga durata di questa storia!), della valenza dei luoghi che motiverà l’intuizione progettuale di Gambi per un futuro possibile proprio perché dettato dalle ragioni di questo spazio: lo stretto. Il futuro è nella formazione di una grande regione urbana. Una unità, quella tra Messina e Reggio, che si “è ricomposta in modo più forte di prima e molto rapidamente”…”la validità di questa conurbazione è evidente e sicura, ma le sue basi non risiedono in un particolare slancio industriale della regione –come è stato da cinquantenni in qua nelle altre conurbazioni italiane- e invece consistono nella funzione di giunzione tra la penisola italica e la Sicilia che la regione dello Stretto esercita…per la maggiore permeabilità sociale tra il Nord e il Mezzogiorno d’ Italia”. La riflessione di Gambi va la di là della ”singolare funzione di giuntura” e traccia un quadro di interrelazioni forti che sostanziano la regione. Come se oltre una decina di anni prima anticipasse il progetto ‘ 80 e gli studi per le pianificazioni di Reggio, Villa e Messina e anche le analisi territoriali dei più significativi studi per l’attraversamento stabile dello stretto.

Lucio Gambi sarà lo storico dei nostri territori a cui tutti, geografi, urbanisti, storici, pianificatori, politici dovranno necessariamente fare riferimento.

Ed è come se avesse anticipato ancora il tema della centralità mediterranea e del corridoio calabro-siculo, asse di riferimento nel meridione d’Italia, che può rafforzare la direttrice nord-sud in Europa, di fronte all’accentuarsi della direttrice ovest-est che va sempre più marginalizzando i paesi del mezzogiorno e paesi della riva sud del mediterraneo.

Ed è su questa linea che la lezione di Gambi ci appare ancora essenziale per riformulare l’analisi del sistema Stretto: non più soltanto una visione, quasi monopolizzatrice, ma un approccio articolato su una molteplicità di nodi, tutti di grande, anche se di diverso livello, che assieme possano quasi riscrivere la geografia dei luoghi( erano le Sue considerazioni, alla presentazione del mio Progetto Urbano di Messina, alla libreria Gangemi a Roma).

Dalla valenza continentale di Gioia Tauro  al riattrezzarsi, in termini di accentuata multimodalità, dell’area catanese -con il nuovo governo territoriale del Val di Noto-, con la centralità dello Stretto, si ripropone il tema di un’immagine del territorio che deriva più dalla diversità delle forme locali che dall’omologazione per grandi categorie tipologiche. Una pluralità perciò di microregioni dell’abitare, del produrre e del relazionarsi in condizione di interazione reciproca; un’immagine che ricompone “le grandi regioni urbane disegnate dalla natura e dalla storia”…che si scompone e si ricompone, in un insieme di ambienti che ripropongono la vitalità e l’attualità delle realtà locali, come nodi di reti.

E il ponte? Conservo gelosamente una sua dedica su un estratto della Storia d’Italia Einaudi, scritta una trentina di anni fa, al tempo del concorso di idee, quasi a mo’ di memento: il ponte è ineludibile.

Il nocciolo duro del ragionamento era che l’uomo, sin dall’antichità (i pontefici?), ha sempre finito con l’unire tutto quello che poteva, per il raggiungimento dell’oltre.

Da parte mia, utilizzando l’insegnamento di Lucio Gambi, così scrivevo, con la sua piena condivisione, nella scheda Ponti dell’Atlante dei Tipi Geografici, edito a Firenze nel 2003, dall’ I.G.M.: <non è possibile rinunciare a cenni sui significati simbolici che la infrastruttura ponte ha finito con l’acquisire nel tempo né all’uso molteplice del termine, in tutte quelle situazioni in cui si tratta di “passare” di “superare”, di “scavalcare”, di “attraversare” di “unire”, di “mettere in comunicazione”, anche metaforicamente qualcosa. Dalla medicina, alla musica, alle telecomunicazioni, all’industria in genere, dalla misura dei giorni alla marineria e  si potrebbe continuare. Come se il ponte ponesse in certa misura una cerniera tra lo spazio dell’uomo e tutto ciò che è fuori di esso, proprio perché supera la soluzione di continuità tra interno ed esterno, tra dentro e fuori. Secondo G.Simmel, “siamo noi, in senso immediato come in senso simbolico,…in ogni momento, coloro i quali separano ciò che è collegato e collegano ciò che separato”. In altre parole la forma-ponte materializza la separatezza sentita, materializza “una volontà coagulata”, cristallizza desideri e necessità, rimuove limiti, costruisce libertà>.

Certo, Gambi non si poneva il tema dei modi e del come: <l’intendenza seguirà>, altri avrebbero potuto dire. Che poi tutto sarebbe diventato inenarrabile e affaristico pasticcio appartiene alla perversione delle infrastrutture, rivisitate e gestite dalla politica, in sostanziale estraneità dalle memorie e dalle significanze dei paesaggi, ci ricorda più in generale Dematteis. Non è un caso che il congresso geografico di Palermo insorse ad una comunicazione ad usum delphini, improvvidamente in programma. Quello che qui si vuole ricordare, come faceva a Bologna Franco Farinelli, è una generale fiducia, che da Gambi scaturiva, tra discorso e percezione del mondo (tra logos e nomos), una relazione semanticamente affidabile (semplificando: un’ intima coerenza), : per questo Lucio Gambi resta un maestro, il maestro non solo di geografi o di geografi-storici, ma il maestro di una intera generazione di intellettuali e di cittadini pensosi. Il geografo che raccontò a tutti, nella introduzione della monumentale Storia d’Italia di Einaudi “I valori storici dei quadri ambientali”, con le motivazioni dei racconti dell’uomo che riplasma la terra, o che, come a Messina e Reggio, rinuncia a farlo. E si nutre di oblio. Anche, ma succede, per rimotivare cittadinanze comuni. (GIUSEPPE CAMPIONE)

 

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