POLITICA E CASO GENOVESE: GIUSTIZIA E’ FATTA?

Quando la politica si fa sostituire dalla magistratura nessuno, anche chi si sente vincitore, può sentirsi sereno. Lasciare alla Camera il compito di decidere sulla libertà personale di un deputato è stato il peggior modo di affrontare politicamente la vicenda Genovese. Lui si sarebbe dovuto dimettere, il suo partito, non solo non glielo ha potuto “imporre”, ma ha delegato ad altri la responsabilità di “fare pulizia” facendo della questione morale un mero vessillo elettorale che si ritorcerà contro quello stesso partito che ha preferito la forca giustizialista alla condanna politica ma garantista sul piano processuale.

A chi servirà elettoralmente lo “scalpo” di Genovese? Lo sapremo il 25 maggio. Resta l’amarezza di aver assistito ad un dibattito in Aula dove non si è fatto cenno all’uso della custodia cautelare e del carcere preventivo, vero nodo centrale della questione.

Abbiamo vibrato con D’uva e Villarosa del M5S quando da messinesi hanno ripercorso la storia di Genovese: interventi dal tono accorato di chi ha raccolto il disagio dell’impotenza che molti giovani siciliani hanno sperimentato, come prezzo alla politica di cui lo stesso Genovese è figlio. Ma quei condivisibili interventi sul piano politico, non erano allo stesso modo condivisibili sul piano del diritto costituzionale.

Genovese, dal canto suo, ha voluto orgogliosamente rivendicare il suo potere, ha voluto sfidare i colleghi deputati pensando che nessuno potesse scagliare quella prima pietra. Ma a svuotare il significato dell’immunità, a svilire nel senso più alto e profondo quell’articolo 68 della Costituzione posto a garanzia dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, sono stati proprio quei deputati che nel corso degli ultimi 20 anni hanno permesso che si tornasse alla ghigliottina in piazza, lasciando che il “diritto” si trasformasse in accesso ai favori, scatenando la rabbiosa reazione di un popolo stanco a cui, oggi, è facile parlare di mal di pancia, piuttosto che di come prevenirlo.

I tempi bui della democrazia sono arrivati. Perchè uno Stato dove la politica delega alla magistratura la condanna di clientelismi e di modus operandi solo se hanno risvolti penali, non è uno stato garantista, non è uno stato di diritto. E’ uno Stato che tratta con la mafia, è la politica incapace di reagire al ricatto delle potenze bancarie perchè ci sguazza complice, è la rappresentanza parlamentare che non è stata il voto a delegare, è la faccia tosta di chi ha lasciato che i tempi processuali fossero l’unica garanzia di impunità.

Il risultato è che adesso è Robespierre a guidare la folla, e non certo Beccaria. (@palmira.mancuso)

 

 

 

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