“Donne che amano troppo”: quando la violenza di genere diventa un fatto di sanità pubblica

 

Un convegno che si è dilatato in due giorni, 25, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, e 26 novembre, “Donne che amano troppo”, organizzato dall’Università degli Studi di Messina, con il patrocinio e il contributo dell’Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana, dell’Ordine degli Avvocati di Messina, dell’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Messina, dell’Associazione italiana Mediatori Familiari.

Tre sessioni per affrontare il problema della violenza sulle donne a 360°, dagli aspetti psicologici della dipendenza affettiva alla rilevanza giuridica e le tutele, fino agli aspetti clinici e medico-legali della violenza contro la donna. Sono tutti aspetti che condividono un’unica idea: trattare a fondo un fenomeno che ancora presenta dati allarmanti e che si attesta come fatto che investe direttamente la sanità pubblica.

Relativamente all’anno 2013 sono 134 i casi di femminicidio in Italia, con 83 tentati femminicidi. Le donne uccise sono di un’età media di 47,1 anni, prevalentemente di nazionalità italiana (89 a fronte di 45 di altre nazionalità). Il fenomeno appare diffuso in tutta la nazione, con un dato maggiore di 45 casi al Nord ed un dato inferiore di 17 casi nelle isole. Si tratta di femminicidi commessi da autori di un’età media di 46 anni, prevalentemente italiani (94 a fronte di 27 di altre nazionalità). Spesso la vittima viene uccisa dal proprio partner, mentre, dai 21 ai 34 casi, dall’ex partner o da un parente. Il dato veramente allarmante risulta essere il luogo del delitto, che rimane essere la casa per 86 casi, a fronte della strada o del lavoro per 26 e 9 casi.

Davanti all’urgenza di un fenomeno che si arresta si sono confrontati professori, medici, avvocati e psicologi, nel tentativo di individuare le strategie e le proposte risolutive. Dalle spiegazioni neurologiche della violenza, date da uno squilibrio biologico e neurochimico, per cui avviene anche una disattivazione dei processi cognitivi, derivante soprattutto dalla mancanza di accettazione del rifiuto, ai fattori psicologici ed economici da cui derivano casi di violenza domestica, in cui la donna è sopraffatta e, spesso, non aiutata dal contesto familiare o impotente nel lanciare un grido di aiuto, fino agli aspetti più giuridici, legati alla tutela legale della donna o all’intervento della mediazione familiare, rappresentato dall’A.I.Me.F., presieduta dalla Dott.ssa Federica Anzini.

L’elemento che maggiormente è emerso riguarda l’allarmante silenzio delle donne, spesso impaurite nel denunciare o poco fiduciose verso i servizi. Il piano terapeutico che si deve innescare è, in realtà, un cammino multidisciplinare che si pone l’obiettivo di stabilire una relazione empatica con la vittima di violenza, di riconoscere una ferita nell’anima che deve essere curata e rimarginata. A tale scopo, infatti, la dott.ssa Luisa Barbaro, ginecologa Asp 5 di Messina, ha dichiarato che “la violenza sulle donne è un fatto che interessa direttamente la sanità pubblica. È questa l’urgenza a cui bisogna prestare attenzione. La relazione di aiuto che si instaura con la paziente è un lavoro di equipe, che coinvolge, oltre ai medici, gli avvocati, gli psicologi e tutti i centri di aggregazioni femminili. Per attuare questo piano strategico è importare formare gli operatori sul campo, farli confrontare con un contesto multidisciplinare ed, infine, dedicare uno spazio accurato all’educazione sessuale per gli adolescenti”.

Nonostante l’approvazione della legge 119/2013 che intende la violenza contro le donne un reato, dunque, il problema rimane quanto mai urgente. Un problema che viene affrontato anche con il servizio telefonico di accoglienza, chiamando al numero verde 1522, oltre che con i centri che ogni giorni si mettono a disposizione. Tra le realtà messinesi vi è quella del Cedav, fondato nel 1989 dalle socie delle associazioni locali dell’Udi di Messina, presieduto dall’avv. Carmen Currò. Le attività proposte hanno l’obiettivo di svolgere ascolto, consulenza ed intervento per le donne che subiscono violenza e/o maltrattamenti e vivono tale situazione con disagio e marginalità. Dal primo contatto telefonico, alla prima accoglienza con i colloqui, fino all’attivazione di una rete di riferimento e della strutturazione di un progetto di vita, il Cedav si fa portavoce della conoscenza del fenomeno della violenza di genere e dell’intervento con donne e minori vittime di violenza.

Il problema della violenza di genere è un problema che si riversa su scala mondiale ed è drammatico apprendere dati allarmanti. In Brasile, ogni giorno, dieci donne vengono uccise. In Europa, anche se l’Italia è sotto la media europea per violenza alle donne, le capoliste sono Danimarca, Scandinavia e Svezia. In Cina sono largamente diffusi gli aborti forzati fino a 9 mesi, mentre nelle Filippine vigono delle vere e proprie organizzazioni criminali per la “tratta delle donne” che investe anche un mercato di organi. India, Afghanistan e continente africano risultano essere i paesi con i più alti tassi di violenza femminile, spesso giustificata e accettata dalle stesse donne maltrattate o dal contesto familiare: in India 19 donne ogni giorno vengono uccise per non avere una buona dote. In Afghanistan, per un rifiuto ad una proposta di matrimonio, un uomo può sfregiare il volto di una donna con l’acido. Il retaggio culturale drammatico che colpisce questi paesi riguarda in particolar modo l’infibulazione: nel mondo ci sono 140 milioni di donne con gli organi genitali mutilati, in particola modo in Africa, una pratica che procura danni a breve e lungo termine disastrosi, oltre a far incrementare la morte fetale del 55%.

La giornata mondiale contro la violenza sulle donne, stabilita dall’Onu nel 1999, in ricordo della vicende delle tre giovani donne Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal del 1960, è il simbolo non di un ricordo, di un appuntamento solito, ma di un grido che non deve e non può arrestarsi davanti a chi soffoca dolorosamente il dolore dentro di sé per una atroce esistenza, per aver, semplicemente, “amato troppo”:

(Clarissa Comunale)

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