X Factor 8, non chiamatelo guilty pleasure

In Italia il termine talent show viene spesso confuso con il più deprecabile reality e, dunque, associato quasi automaticamente al concetto di tv spazzatura. Sebbene ci siano degli innegabili punti di contatto tra queste due realtà televisive, si tratta di generi (e mondi) ben diversi, che al loro stesso interno contano innumerevoli sfumature.

Al loro peggio, i talent show sono reality morbosi che sfruttano i meccanismi della “competizione” per innescare tante piccole bombe acchiappa-audience. Al loro meglio, i talent show possono dare vita ad intrattenimento di ottimo livello, mettendo alla prova, come da definizione, il talento di tutte le figure coinvolte nella realizzazione del programma: dai partecipanti, ai conduttori, agli eventuali “giudici”, passando per lo spesso bistrattato comparto tecnico. E, perché no, l’ufficio stampa (nella sua declinazione più moderna, almeno).

 X Factor Italia è indubbiamente un esempio di talent show virtuoso, che si inserisce senza fatica nella seconda categoria.

Certo, prima di arrivare a questo punto c’è voluto un investimento enorme da parte di Sky Italia, che al momento di subentrare alla Rai nella gestione del format si era trovata in mano un prodotto che potremmo definire ancora molto grezzo. Il problema non era la base, sempre geniale nella sua assoluta semplicità (e il merito è di Simon Cowell), ma piuttosto la “confezione”, che non sfruttava ancora a pieno le potenzialità offerte dal programma.

Parlo innanzitutto del fattore spettacolo, che va ben oltre le semplici finalità di una qualsiasi “competizione di talenti”. Il motivo, per intenderci, per cui Sanremo è Sanremo (o almeno dovrebbe esserlo).

X Factor è un successo perché ha scommesso tanto sul lato talent quanto su quello show, puntando sulla professionalità di tutte le figure coinvolte nel processo produttivo e facendo così fare un balzo in avanti al mondo dell’intrattenimento tv in Italia. Invece di cullarsi sulle possibilità offerte dal meccanismo tipico dei talent, insomma, Sky ha osato, ed è stata ripagata in pieno. Cattelan, Tommassini, la squadra di producer che confeziona le cover di puntata in puntata, tutto il comparto tecnico in generale: la squadra che lavora alla riuscita di X Factor dietro (e davanti) le telecamere fa un lavoro non sempre riuscitissimo ma di volta in volta più studiato ed accurato.

Poi c’è il fattore social, ovvero il coinvolgimento del pubblico a casa. X Factor è probabilmente lo show nostrano più attento a queste dinamiche, e non lo è certo diventato per caso. Il live tweeting, per esempio, è incoraggiato, monitorato, sfruttato all’interno stesso del programma, e in generale sono diverse le possibilità di interazione offerte ai fan attraverso svariate piattaforme. Insomma, c’è tutto quello che un prodotto così fortemente legato al proprio pubblico, come ogni talent show, dovrebbe avere. Ben oltre l’hate watch e il gusto per il guilty pleasure.

Ma spostiamoci, adesso, sul lato talent, che rimane comunque di fondamentale importanza (chiaramente).
Uno degli aspetti più interessanti di questo format è l’importanza riservata ai giudici, che di fatto sono contemporaneamente “allenatori” e, per l’appunto, “giudici” dei concorrenti altrui (oltre che propri).

La scelta dei nomi, come ogni anno, è fondamentale, ma vorrei soffermarmi un attimo sulla capacità di gestire l’influenza di queste quattro figure all’interno della competizione e del programma in generale. Pensiamo a questa edizione: nonostante gli exploit di Morgan o Fedez, lo show (inteso come spettacolo, intrattenimento, ma anche la vera e propria sfida tra i concorrenti) non è mai scaduto oltre i limiti della decenza e, soprattutto, ha lasciato il giusto spazio ai concorrenti, complice anche la grande professionalità di Cattelan. Laddove si sarebbe potuto insistere sulla rivalità tra i due giudici, si è invece cercato di trovare un equilibrio, con un risultato praticamente inimitabile. Si può dire, quindi, che l’interesse per l’aspetto più propriamente umano (con tutto ciò che ne consegue, spesso e volentieri in negativo) sia stato gestito con discrezione e, se necessario, limitato – nonostante la presenza immancabile di qualche “caso umano”.

Ma torniamo un attimo sul quartetto di quest’anno, che si può considerare tutto sommato ben assortito anche se non particolarmente brillante. La scelta più azzeccata si è rivelata senza alcun dubbio Fedez, ad oggi il miglior giudice di sempre per assegnazioni, acume e atteggiamento. Anonima e fuori fuoco la Cabello, vera delusione di quest’anno, Mika come al solito nella media, e Morgan, beh, è sempre Morgan (anzi, sempre più il peggio di Morgan).

Sul fronte talenti, l’annata non è stata di certo tra le più omogenee, ma ha visto spiccare alcune proposte molto interessanti. Tra tutti Madh, che ha il merito di aver portato sul palco di X Factor un repertorio inedito per i talent, per di più in una confezione quasi sempre impeccabile. Grazie all’aiuto di Fedez, che si è rivelato un ottimo mentore, e alle spettacolari messe in scena di Tommassini, il giovane sardo ha consegnato al pubblico alcune tra le migliori performance della stagione. E poi c’è Lorenzo, il vincitore, che con il suo inedito ha ottenuto il disco d’oro ancora prima di ricevere l’annunciato (ma non scontato) trofeo. Un traguardo finora mai raggiunto, almeno in Italia, che certifica per altro l’ottima salute dello show.

Tra i talenti di quest’anno voglio segnalare anche Vivian, definita da Fedez la “piccola Nicki Minaj” e uscita dalla competizione davvero troppo presto. Poco male, però, visto che il rapper milanese l’ha già scritturata per aprire i suoi prossimi concerti.

Piccola nota stonata: la scelta di “dare dignità” agli inediti facendoli scrivere agli stessi concorrenti, decretando in qualche modo l’inferiorità dell’interprete puro e producendo, per altro, alcuni pezzi di scarsissimo spessore. Una risposta alle critiche di chi disprezza i talent perché “popolati di artisti finti”, ma che si è rivelata sbagliata tanto quanto l’assunto che voleva goffamente confutare. XFactor è uno show pop fino al midollo, ma non è affatto un difetto né va visto come tale. Si tratta di una vetrina discografica, di uno spettacolo divertente e ben costruito e anche di un’occasione per allargare i propri confini musicali. E se pensate che la cultura pop non possa farlo, il problema non è certo della cultura pop.

Visto in questa ottica, X Factor non è un guilty pleasure ma un piacere in piena regola, che se approcciato liberi da ogni snobismo può regalare un paio d’ore di intrattenimento davvero solido e soddisfacente. L’edizione 2014 si è conclusa con un grande successo di pubblico e vendite, ma non preoccupatevi se ve la siete persa: le selezioni sono già aperte e potete stare certi che lo show di Sky Uno tornerà anche nel 2015.

(Francesca Anelli)

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