E se cacciassimo le Fs dallo Stretto e dalla Sicilia? Una provocazione, forse

Riceviamo e pubblichiamo un contributo dell’avvocato Gaetano Maiolino sul tema della continuità territoriale e dei trasporti, in vista della manifestazione popolare di San Valentino.

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Sabato 14 febbraio si terrà la manifestazione pubblica “in difesa del trasporto sullo Stretto, dei treni, delle navi, dei posti di lavoro e della dignità dell’intera Sicilia”. Con la mobilitazione si chiede alle FS che la continuità territoriale dei trasporti tra Sicilia e Continente sia salvata; che la prevista soppressione dei treni da e per la Sicilia sia cancellata; che i posti di lavoro (100 unità) impiegati nel traghettamento dello Stretto e nelle ferrovie siano salvaguardati.

Da giorni, come peraltro ciclicamente avviene, si susseguono le prese di posizione su questa questione. Oggi si parla di riduzione del servizio di traghettamento e dei treni a lunga percorrenza, talvolta si parla di Metromare dello Stretto, e così via.  Accanto alla mobilitazione, guidata dai lavoratori che giustamente difendono il proprio posto di lavoro, si sono susseguite in questi giorni alcune riflessioni che, a mio avviso, hanno il merito di avere centrato taluni aspetti importanti della vicenda.

Così, ad esempio, il professore Michele Limosani ha il merito di avere elencato una serie di obiettivi precisi in termini di trasporto intermodale nell’area dello Stretto e a Messina, di continuità territoriale, di collegamenti tra la Sicilia e il resto d’Italia e tracciato un programma complessivo ed organico che risponde alle esigenze di mobilità e di sviluppo delle comunità messinese e dello Stretto. Un programma che, sono certo, sottoscriveremmo tutti immediatamente. Ma, allo stesso modo, il sindacalista Michele Barresi, correttamente, ha osservato come certi obiettivi individuati da Limosani possano essere allo stato solo semplici auspici, incompatibili con scelte di politica infrastrutturale che ormai da decenni hanno determinato una progressiva marginalizzazione delle ferrovie siciliane, per le quali di fatto non sono previsti investimenti alla rete infrastrutturale. E pone il tema di come il servizio sia oggi, a prescindere dai miglioramenti futuribili che necessiterebbero comunque di uno o due decenni. Altri ancora, come l’avvocato Gianfranco Scoglio, sottolineano che l’unica infrastruttura in grado di garantire uno stabile collegamento ferroviario della Sicilia con l’Europa sarebbe il Ponte sullo Stretto, e che, negarne la valenza, significa condannare la Sicilia all’isolamento commerciale e disconoscere l’importanza che la realizzazione dell’opera rivestirebbe per una reale integrazione sociale, culturale ed economica dell’Area dello Stretto. E anche qui, obiettare che senza Ponte potrebbe esserci un servizio ferroviario da e per la Sicilia con standard europei è davvero difficile. Da ultimo voglio citare il giornalista Fabio Mazzeo, che si stupisce del fatto che in tanti, troppi, abbiano una visione della continuità territoriale anacronistica, ancora legata alla visione di un treno che, alla Stazione Marittima di una città, in due ore si divide in pezzi, entra in una nave, traghetta in mare, arriva in un’altra stazione, si ricompone e riparte. Una visione certo affascinante e legata allo Stretto e all’identità messinese, ma che non ha riscontri da nessuna altra parte nel mondo.

Ciascuno di loro, a mio avviso, coglie un aspetto importante della questione. Ma purtroppo questa vicenda si inserisce su un cliché che troppo spesso, qui a Messina, ci viene riproposto. Mentre chi decide, e decide lontano da qui, da decenni ha avviato una operazione di smantellamento di tutto l’apparato pubblico statale, in riva allo Stretto periodicamente ci risvegliamo dal torpore per richiedere una difesa dello status quo, dei posti di lavoro. Senza renderci conto che lo status quo è già ben peggiore di quanto ci rappresentino i nostri ricordi.

In tutto ciò l’angusto parterre politico locale si divide tra chi alza i toni, cercando di richiamare l’attenzione di un potente che mai risponderà, ma intanto si erge a paladino degli interessi della sua comunità, e chi invece mantiene toni bassi, implorando dal potente amico di turno un intervento in grado di scongiurare il definitivo sputtanamento, ma che finirà per rivelarsi l’ennesima toppa a colori. E non è un discorso di destra o sinistra, o questo o quel partito, perché è un cliché che a parti invertite si ripropone da anni.

La verità è che occorre un’operazione di svelamento. Non è tempo di mediazioni. Occorre la disponibilità, almeno a livello ipotetico, a ribaltare il tavolo.

E vengo alla riflessione che in questi giorni non ho sentito fare a nessuno. Mi sono morso la lingua più volte, pensando che, ai lavoratori che giustamente insorgono a difesa del proprio posto di lavoro, il mio intervento sarebbe potuto sembrare un affronto. Ma, ripensandoci, per difendere ciò che hai conquistato devi essere disponibile anche a metterlo a rischio, altrimenti ogni resistenza sarà inutile.

Da decenni il Gruppo Ferrovie ha avviato un progressivo smantellamento di tutta la rete del Meridione, del nodo di Messina e dello Stretto in particolare. Offre un servizio efficiente da Salerno in su (almeno la rete principale), appena accettabile da Salerno a Villa San Giovanni, pietoso dallo Stretto in giù. Ha ridotto in maniera drastica il numero di posti di lavoro a Messina. In Sicilia non investe sul trasporto merci, sull’intermodalità, sul completamento del raddoppio ferroviario (non parliamo di alta capacità/alta velocità perché non è proprio il caso), sulla capacità di rispondere al diritto alla mobilità e alle necessità di sviluppo del territorio. Occupa porzioni pregiatissime del territorio urbano, specie a Messina, e si permette anche di pretendere un indennizzo per consentire il transito della nuova Via del Mare nella dismessa Piccola Velocità. Finge di fare concorrenza nel trasporto commerciale sullo Stretto agli operatori privati, ma si tira indietro quando si tratta di garantire la continuità territoriale. Pretende tariffe elevate e spropositate rispetto agli standard di servizio e ai tempi di percorrenza. E potrei continuare a lungo.

Alla luce di tutto ciò credo che sia doveroso valutare l’ipotesi “zero”. Se il Gruppo Ferrovie non è in grado di garantire un programma di sviluppo concreto per realizzare gli obiettivi indicati dal professore Limosani, i Siciliani dovrebbero cominciare a valutare, da subito, di fare a meno delle FS. Cacciarle proprio, rispedirle al di là dello Stretto. Un gruppo che già oggi abusa della propria denominazione di Ferrovie dello Stato, e che con la commistione tra gestione della rete infrastrutturale e del servizio di trasporto impedisce di fatto qualsiasi possibilità di seria concorrenza.

Fare a meno del gruppo Ferrovie significherebbe sottrarre ad esso le risorse che oggi drena per fingere di garantire un servizio nazionale e la continuità territoriale, per investire invece su un sistema intermodale fatto di trasporto aereo, su gomma e via mare. Realizzare stazioni passeggeri d’interscambio, interporti, implementare le autolinee collegando porti e aeroporti. Significherebbe mettere a bando un servizio di traghettamento sullo Stretto in modo analogo a quanto avviene, ad esempio, alle isole Eolie, con risorse pubbliche destinate a garantire uno standard di servizio adeguato alle esigenze, e condizioni vantaggiose per i residenti. Comporterebbe ancora l’acquisizione al patrimonio della Regione, ai sensi dello Statuto speciale, di tutta le rete, le stazioni e gli immobili delle Ferrovie, oggi abbandonati ed abusati, perché siano reimmessi in modo virtuoso a servizio dello sviluppo locale. Tutto ciò potrebbe garantire, pretendendo dallo Stato e dalla Regione il mantenimento delle risorse che oggi drenano le FS, investimenti, un servizio più efficiente e un numero di posti di lavoro, a regime, certamente maggiore di quello che tra qualche anno manterrà ogni tentativo di preservare lo status quo.

Credo che sia arrivato il momento di cominciare ad alzare davvero la voce, superando quell’atteggiamento piagnone e accattone che ci porta ogni volta ad esultare per il mantenimento di uno status quo già inaccettabile e comunque insostenibile, ad accettare soluzioni capestro, a piegarci sempre di fronte al meschino ricatto occupazionale. Uno scatto d’orgoglio che dallo Stretto giunga a Palermo e dia un segnale a tutta Italia.

  Gaetano Majolino

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