Il funerale del padre occasione di infondato vittimismo: la strategia difensiva di Francantonio Genovese sempre meno giuridica e sempre più mediatica. L’invenzione dei “ferri ai polsi”

– di Michele Schinella – Secondo una legge dello Stato italiano risalente al 1992, “l’uso delle manette ai polsi è vietato salvo che non lo richiedano la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione”.

Eppure, secondo quanto riferito dalla testata messinaoggi.it diretta da Davide Gambale )ì(giornalista al tempo stesso addetto stampa di Confcommercio Messina), l’ex leader del Pd siciliano Francantonio Genovese, da 8 mesi in custodia cautelare in carcere, ha rinunciato a presenziare ai funerali del padre, Luigi Genovese, per evitare di mostrarsi con i ferri ai polsi, che gli erano stati posti come condizione dall’autorità giudiziaria.

La notizia, veicolata sempre attraverso la stessa penna di Gambale anche dalla nota testata regionale LiveSicilia, è stata ripresa (al solito senza alcun controllo) da altri giornalisti che si sono prodigati in sperticati commenti colmi di indignazione. Non solo per le manette ma anche per il fatto che l’onorevole Genovese, è in carcere da mesi pur essendo solo in attesa di giudizio, condizione questa che condivide con altre 24mila persone. 

Naturalmente la notizia era falsa. Di più, la notizia era totalmente inventata, nel senso che neppure esisteva.

Francantonio Genovese non ha mai fatto istanza per partecipare ai funerali del padre. Se l’avesse fatta nessuno gli avrebbe imposto le manette: ma non perché i giudici di Messina siano particolarmente illuminati e garantisti, ma solo perché lo vieta la legge e infatti decine di detenuti, alcuni accusati di reati gravissimi, partecipano ai funerali di familiari e mai se n’è visto qualcuno con le manette.

E’ lo stesso legale di Genovese, Nino Favazzo, a rivelare che la notizia neppure c’è: “Non ho inoltrato alcuna istanza – afferma il legale – perché, conoscendo l’ordinamento penitenziario, so bene che non poteva essere concesso al detenuto di recarsi ‘libero e senza scorta’ a porgere l’ultimo saluto al padre deceduto. Non potevo infliggere al mio assistito, che non avrebbe accettato, anche questa ulteriore umiliazione”.

L’avvocato Favazzo di manette non parla. Parla di rinuncia per evitare l’umiliazione di una scorta. Parla cioè del nulla, posto che sa benissimo che ancora la legge italiana non prevede la possibilità di concedere ad un detenuto, per quanto facoltoso, il privilegio di potersene andare a zonzo per le chiese della città.

Ma allora la “non notizia” della prescrizione delle manette, vietata dalla legge, a Gambale, che per indicare la fonte usa l’espressione “dicono dal carcere di Gazzi”, chi l’ha data? Se l’è inventata, o gli è stata suggerita nell’ottica di una strategia difensiva vittimistica (vedi articolo precedente) da tempo in corso nonostante gli scarsissimi risultati?

Il legale di Genovese, Favazzo, non si è risparmiato ed è andato oltre tradendo la strategia: “Sono altrettanto convinto che una carcerazione preventiva palesemente ingiusta, perché protratta oltre ogni ragionevole limite, ha impedito a Francantonio di poter abbracciare per l’ultima volta il padre e gli impedirà di condividere il proprio dolore con i suoi cari, con la riservatezza che il caso richiede! Può esistere pena più grande?”.

La Procura e il Dipartimento amministrazione penitenziaria hanno impiegato qualche secondo a smentire: “Ferma restando la competenza del Tribunale a decidere sulla eventuale partecipazione, si rileva come in virtù del preciso divieto di legge risulti fantasiosa e priva di ogni fondamento l’ipotesi di una possibile partecipazione al rito con mezzi di coercizione fisica, mezzi che peraltro non sono mai stati utilizzati nei confronti della persona in oggetto in occasione dei due precedenti arresti”.

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