Messinesità #adminchiam – U muccalapuni

di Simone Bertuccio – A Messina manca l’acqua da due settimane. Siamo sporchi, dobbiamo centellinare quella che ci arriva a casa nemmeno fosse l’olio della dispensa del Barone Antonio Peletti, interpretato da Totò, nel film “47 morto che parla”: «Questo è L’OLIO!”. Quasi fosse un bene prezioso.

L’acqua lo è, le notizie tardano ad arrivare, figuriamoci le decisioni. E figuriamoci le decisioni ottimiste. Però basta!

Ne abbiamo parlato troppo e noi – da praticante, mi ci inserisco anch’io nel mondo dei divulgatori di informazione – stiamo, come si suol dire, sbarellando. Ne ha parlato pure Adolfo Hitler, in un video parodia del film “La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler”: “La gente è stanca di farsi prendere per il culo”.

E il messinese, diciamocelo chiaramente una buona volta, ha una certa vocazione per questo genere di attività. Ne ha tante di vocazioni. Nel mondo della rosticceria e della pasticceria, a mio dire, siamo quasi imbattibili. Siamo bravi a rinascere come le fenici e siamo bravi a farlo spesso. Spessissimo.

Vi ricordate quella frase di Mark Twain, “Smettere di fumare è la cosa più facile che conosco. Lo so perché lo faccio un sacco di volte”? Bene. Noi siamo così.

Attenzione, metto una cosa in chiaro ai maliziosetti che leggono questo pezzo: sono messinese e fiero di esserlo, non mi piango addosso ma, come dire, se qualche volta trovo una spalla su cui farlo non mi ci tiro indietro. Lo sappiamo tutti dai. Quando il messinese si trova in una riunione conviviale un po’ allo sconforto si lascia andare. Anche poco poco. Ma non lo fa per male.

Lo fa perché sa che città è e che città potrebbe essere, Messina. È un po’ come un amore infinito che ti si blocca nelle viscere e non se ne va più. Quell’amore che accetta tutto. Ce ne andiamo via, è vero, ce ne vogliamo andare via ma non tutti fortunatamente.

Ma questa azione non è contro Messina. Pensiamoci un attimo: tutte le critiche che facciamo non le azzardiamo mai contro la sua bellezza, la sua naturale, splendida, inarrivabile, nuda conformazione.

È con il resto che ce la prendiamo e se ci fermiamo ancora un altro piccolissimo istante arriveremmo a fare una semplificazione, che nemmeno ai tempi delle scuole superiori eravamo capaci di fare. Ovvero che, alla fine, tutto si riduce a Noi. Noi politici, noi studenti, noi insegnanti, noi lavoratori, imprenditori, noi dirigenti. Vecchi, nuovi, morti, nascituri. Anziani, giovani, bimbi-minchia, intelletualoidi, ragazzi, ragazze. Però basta!

Mi sono lasciato andare a queste esternazioni sognanti perché ho messo su un pezzo shoegaze dei Slowdive e mi sono un po’ perso. Ma io mi ritrovo sempre. E come ogni messinese, poi sbarello anch’io.

Soprattutto quando ad un certo punto, un tizio con la C aspirata, se ne spunta con una frase sul Ponte. Lasciamo stare che il tizio l’abbia pronunciata – guarda caso – in concomitanza con l’uscita del nuovo libro di un altro tizio che porta il nome di un insetto volatile e di un modello storico della Piaggio. (Che poi, sto tizio, scrive più libri d’un antropologo che s’è girato il mondo per 235 volte. Solo che lui è sempre qua).

Il messinese quando sente la lettera P, ormai, non pensa più nemmeno alle Polpette della nonna, al gioco Patruni e Sutta, ai Pidoni con tuma e scarola… Cosa brutta! Molto brutta.

Sbarella. È inutile. E sì, ci sta che ponga sempre attenzione, ci sta che non pensi solo a mangiare, ci sta che non si impigrisca, ci sta che sia sempre vigile sull’evolversi di questa storia. Ma ci starebbe anche contestualizzare, di tanto in tanto. Lungi da me criticare questa o quella posizione in merito ma perché siamo proprio degli intramontabili “Mucca lapuni”? Ok. Ha detto che il Ponte si farà ma anche mia nonna dice, quando vado da lei a pranzo o a cena, che mi cucinerà poco. O che quello che mi cucinerà sarà leggero come una farfalla. E comunque, ha fatto pure una premessa.

Una lunga, romantica, futuristica quanto – ahimè – irrealizzabile premessa. Ha detto che «prima bisogna pensare all’infrastrutture. Strade, ferrovie. Mettere in sicurezza il territorio. Investire soldi in modo pulito in Sicilia». Ecco: su questo qualcuno ha da dire? Sì. Fregati. Perché, quante volte son state fatte queste promesse? E quanto, di queste promesse, è stato realizzato? Probabilmente, visto che di Ponte, agli atti di Governo, non compare nemmeno quella P che tanto invece ci fa rabbrividire, andiamo a concentrarci su questa premessa. Strade, ferrovie, alta velocità, investimenti puliti.

Se tutto questo dovesse realizzarsi, beh, passerebbero anni. Il tizio di Firenze dovrebbe restare in sella al governo per molti anni. E se il Ponte dovesse iniziare a realizzarsi solo alla conclusione di questi processi, probabilmente nemmeno i figli dello stesso tizio avrebbero opportunità di vederlo. E sfido anche i figli dei suoi figli. Quindi la sua dichiarazione vale quanto la mia che dico che un giorno troveremo la vita su un altro pianeta, o quanto quella di tante ragazze che, dopo aver comprato l’ultimo paio di scarpe o l’ultima borsa, dicono che sarà l’ultimo loro acquisto.

C’è speranza, forse. O più probabilmente incredulità, provata dalla stessa persona che queste parole le pronuncia. Il problema secondo me potrebbe essere un altro. Il tizio di Firenze ha questa mania di voler essere incendiario e pompiere allo stesso tempo. Spegne le fiamme di quell’incendio che lui stesso ha appiccato.

E chi lo sa, può essere pure che sta battuta alla Martufello sul Ponte, l’abbia fatta pure per fare bella figura con qualcuno d’oltralpe, visto che sicuramente un po’ di cattiva figura l’ha fatta tutta l’Italia e non solo Messina, con sta faccenda dell’acqua. Avrà, che so, preso alla lettera la parte di un testo di Fabri Fibra, quando dice: “C’è un mio lato che cade a pezzi ed è la parte che tu non vedi”.

Mostrarsi nel proprio aspetto migliore.

Ce lo insegnavano a scuola: ad ogni azione corrisponde un’azione uguale e contraria. Di stessa intensità. Qui le cose vanno davvero male? Bene. Devo trovare il modo per far trasfigurare tutto. La trasfigurazione di Messina, che passa dal non sapere come pulire le pentole dopo aver fatto la pasta ‘ncaciata con le bottiglie d’acqua comprate al Discount, a divenire una città detentrice di un «simbolo bellissimo».

Qui di bellissimo, ancora, dopo anni, decenni, abbiamo la Sua secolare cultura che, visti i disastri del terremoto, non la scopri se non ci vai a fondo. Sua, ripeto, non Nostra. Non impossessiamoci sempre di tutto. E non usiamola a convenienza, sta città.

Messina ci sta comunicando la sua fragilità. E ciò che ci sta dicendo non vale come le promesse che mi fa nonna sul cucinare poco e leggero quando vado a trovarla, come le donne che acquistano borse e scarpe e affermano, dopo, che saranno le ultime, come i progetti sui Ponti sullo Stretto, o come, che so, le cose che dicevamo quando ci confessavamo da bambini.

Quanto eravamo credibili? Dovremmo prendere esempio, una buona volta, da Lei.

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