Giustizia: 20 mesi alla ricercatrice libica

ll gup di Palermo Lorenzo Iannelli ha condannato, in abbreviato, a un anno e 8 mesi di reclusione Kadiga Shabbi, ricercatrice universitaria libica accusata di istigazione a commettere reati in materia di terrorismo. Il pm Geri Ferrara aveva chiesto 4 anni e 8 mesi. Il giudice ha dichiarato sospesa la pena e ha disposto la scarcerazione dell’imputata, in cella da un anno.

Il pm Gery Ferrara aveva chiesto la condanna a 4 anni e 6 mesi di carcere per Khadiga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica fermata a dicembre del 2015 a Palermo con l’accusa di istigazione a commettere reati in materia di terrorismo. Attraverso i social la donna avrebbe fatto propaganda a gruppi estremisti islamici e avrebbe avuto contatti con organizzazioni terroristiche come Ansar Al Sharia Libya e Libia Shield One e con foreign fighters ritornati in Europa dopo avere combattuto nei conflitti in Libia ed in Medio Oriente.

La donna era presente alla lettura della sentenza e ha pianto. Il dispositivo del Gup Lorenzo Iannelli, ha riconosciuto, dunque, solo l’istigazione al terrorismo, non riconoscendo l’aggravante dalla transnazionalità. Con in tasca una borsa di studio di Dottorato di ricerca in Scienze economiche aziendali e statistiche, Khadiga Shabbi era stata arrestata nel dicembre 2015 dagli investigatori della Squadra Mobile di Palermo e da giugno si trovava in carcere dopo che la Corte di Cassazione aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale del riesame che aveva accolto la tesi sostenuta dalla Procura di Palermo. In prima istanza il Gip aveva rigettato il provvedimento dei Pm contro cui aveva ricorso la difesa della libica.

Nella sua requisitoria il pubblico ministero aveva sostenuto la richiesta di condanna affermando che le condotte rientravano certamente nell’alveo della fattispecie di cui all’articolo 414 del codice penale (istigazione a delinquere), aggravato dalla finalità di terrorismo, “avendo aderito espressamente a organizzazioni terroristiche mettendosene a disposizione, cercato di fare arrivare in Italia suoi combattenti, avendo preso contatti con altri foreign fighters rientrati in Europa dopo avere combattuto nei teatri di guerra mediorientale e propagandato materiale documentale, fotografico e video chiaramente di tipo estremista jihadista, reperito informazioni in rete poi fornite ai combattenti sul suolo libico”. Il magistrato ha anche accusato la donna di avere inviato somme di denaro “a soggetti vicini a dette organizzazioni terroristiche” e di avere chiesto “espressamente vendetta per quanto subito dai suoi parenti”.

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