Sul caso Attilio Manca, Ingroia “aperto un fascicolo per omicidio”. Dichiarazioni shock di un pentito “ecco chi sono i killer”

E’ stato il giorno del ricordo, ma anche l’occasione per fare il punto sull’inchiesta giudiziaria che riguarda la morte di Attilio Manca. Ieri a Barcellona Pozzo di Gotto è stata grande la partecipazione all’incontro presso l’auditorium di San Vito, organizzato dall’associazione nazionale “Amici di Attilio Manca”, dedicato all’urologo, trovato senza vita nella sua abitazione di Viterbo il 12 febbraio 2004. Una morte che per la Procura di Viterbo è solo un decesso per droga, al quale i familiari non si rassegnano tanto meno i legali e tutti coloro che chiedono giustizia e verità sulla vicenda.

mancaIeri un nuovo capitolo che accende le speranze: durante l’incontro, infatti, l’avvocato Antonio Ingroia ha annunciato l’apertura di un fascicolo per omicidio contro ignoti da parte della Procura antimafia di Roma.

“Credo che si tratti di un piccolo grande passo verso la ricerca della verità – ha dichiarato – da parte della magistratura romana, che mette in evidenza due aspetti. Il primo riguarda la scelta di aprire un’inchiesta da parte del procuratore Giuseppe Pignatone che, seppur senza individuare i responsabili dell’omicidio, ci dice che Attilio Manca non è morto per un’overdose. In secondo luogo l’intervento della Procura antimafia inquadra l’omicidio come un’esecuzione mafiosa. Dopo le tante istanze che abbiamo presentato insieme al collega Fabio Repici siamo riusciti a trovare un interlocutore che ha ascoltato le nostre ragioni. Quest’inchiesta, che va avanti dall’anno scorso e sarà prorogata almeno di altri sei mesi, va in contrasto evidente con la tesi della morte per overdose sostenuta dalla Procura di Viterbo. Tale incongruenza dovrà essere chiarita dalla magistratura, probabilmente con l’intervento della Procura Generale di Roma, perchè è impensabile che, per lo stesso episodio, una procura indaghi per omicidio e l’altra per una morte provocata da un’overdose, mettendo sotto processo solo la donna che avrebbe ceduto la droga ad Attilio”.

ingroiaIngroia ha poi ricordato il suo colloquio con un pentito della mafia messinese, Giuseppe Campo, che ha chiesto di incontrarlo in carcere: “Circa un mese fa – ha sostenuto l’avvocato – ho avuto l’opportunità di raccogliere le dichiarazione di un collaboratore di giustizia che non avrebbe alcun interesse nel sostenere che la morte di Attilio sia stata voluta dall’organizzazione mafiosa barcellonese. Secondo quanto mi ha riferito, gli era stato ordinato di uccidere Attilio, perchè sarebbe stato a conoscenza di alcune vicende legate alla latitanza di Bernardo Provenzano. L’omicidio si sarebbe dovuto compiere a Barcellona, ma due mesi prima della morte dell’urologo sarebbe arrivato il contrordine. Solo dopo il ritrovamento del cadavere di Manca, il collaboratore avrebbe chiesto spiegazioni e gli sarebbe stato riferito che era stato scelto un modo diverso per far fuori Attilio, senza troppo clamore. Abbiamo riferito le sue affermazioni alla Procura antimafia di Roma, che sta effettuando le opportune verifiche e tutti gli accertamenti del caso, per trovare un riscontro a quanto sostenuto dal collaboratore. Siamo fiduciosi, ma restiamo vigili perchè convinti che Attilio sia stato ucciso”.

Nel corso dell’incontro, alla presenza dei genitori di Attilio, Angelina e Gino Manca, e del fratello Luca, sono intervenuti anche la referente regionale di Libera Flora Agostino, l’avvocato Fabio Repici (con un collegamento via telefono), la componente della commissione parlamentare antimafia Giulia Sarti, l’ex procuratore generale presso la corte d’Appello di Messina Marcello Minasi, il sindaco di Messina Renato Accorinti (anche lui via telefono), l’ex sindaco e docente universitaria Maria Teresa Collica, il giornalista e scrittore Lorenzo Baldo, il direttore di Antimafiaduemila Giorgio Bongiovanni, e l’attore Fabio La Rosa. Gli interventi sono stati coordinati dal giornalista e scrittore Luciano Armeli Iapichino.

Su antimafiaduemila.com un articolo di Lorenzo Baldo documenta quanto annunciato da Ingroia, pubblicando i verbali con le affermazioni di Giuseppe Campo, che nel settembre del 2016, scrisse una lettera all’ex pm Ingroia manifestandogli l’intenzione di voler approfondire quanto di sua conoscenza su questo caso.

DA ANTIMAFIADUEMILA:

Il (mancato) killer
L’indicazione che il decesso di un medico di 34 anni, in piena salute, sarebbe in realtà un omicidio, giunge questa volta da colui che a suo dire sarebbe stato incaricato di sparare ad Attilio Manca. Un progetto di morte che si sarebbe dovuto realizzare nel mese di dicembre 2003 e che invece sarebbe stato bloccato: la morte del dott. Manca sarebbe dovuta sembrare un suicidio, quindi niente armi. Il racconto di Giuseppe Campo inizia con il suo incontro con Umberto Beneduce (indicato da alcuni rapporti di polizia come contiguo ad ambienti mafiosi barcellonesi, condannato in primo grado per droga nel maxi processo “Mare Nostrum” assieme al cugino di Attilio Manca, Ugo, entrambi assolti in via definitiva, ndr) avvenuto su sollecitazione di un suo amico. Campo riferisce quindi che Umberto Beneduce gli avrebbe chiesto di sparare al giovane urologo e che lui stesso non avrebbe osato replicare pur non avendo mai ammazzato in vita sua. Il collaboratore spiega inoltre che successivamente, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2004, il suo amico lo avrebbe ricontattato per confidargli che l’omicidio Manca non era più necessario in quanto era già stato commesso fuori dalla Sicilia. L’amico gli avrebbe specificato che la ragione di quella uccisione era legata al fatto che Attilio aveva curato Bernardo Provenzano che, tra l’altro, a suo tempo, si sarebbe nascosto nel barcellonese. Il sodale di Campo gli avrebbe inoltre confidato che ad uccidere Attilio a Viterbo sarebbe stato il mafioso Carmelo Di Pasquale (cognato del boss di Terme Vigliatore Carmelo Vito Foti) assieme ad Ugo Manca e ad un’altra persona di cui non ricordava il nome.
Per quanto riguarda i personaggi citati nelle dichiarazioni del pentito bisogna evidenziare alcuni aspetti: Carmelo Di Pasquale è stato ucciso nel 2009 in un agguato mafioso, dell’amico di Campo (individuato dagli investigatori) non si hanno notizie, così come non si hanno elementi sulla terza persona coinvolta nell’assassinio di Attilio; su Umberto Beneduce non risultano attuali condanne per mafia, e infine Ugo Manca, mai indagato per omicidio, e mai condannato per mafia, ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nella morte del cugino.

I verbali
“Andai a Barcellona Pozzo di Gotto – dichiara Campo ad Ingroia –, a casa del Beneduce Umberto, e poi andammo in un bar nelle vicinanze, ci sedemmo in un tavolo all’aperto assieme a (omissis), e qui Beneduce mi propose di commettere un omicidio”. Inizia così il racconto di quella giornata che cambiò la vita all’ex mafioso messinese. “Avrei dovuto uccidere un personaggio che non era della malavita e perciò Beneduce mi tranquillizzò dicendomi che non ci poteva essere ‘reazione’ a quell’omicidio da ambienti criminali. Mi disse che era un medico, e se mi sentivo di fargli quel favore, sarei diventato ‘uno di loro’. In verità, lì per lì, ragionai molto e mi ponevo fra me e me molte domande: perché a Barcellona, pur avendo molti killer a disposizione, Beneduce chiedeva proprio a me, che non avevo mai ucciso nessuno? Nel frattempo, acconsentivo apparentemente, ma pensavo che non eravamo in quella confidenza tale per chiedere a me di commettere un omicidio per lui; non poteva conoscermi così bene da affidarmi una cosa del genere; pensai mi stessero mettendo alla prova; e però mai ho pensato di aderire ed accettare quel progetto”. L’avvocato Ingroia chiede maggiori dettagli su cosa gli fosse stato riferito in merito al luogo e al progetto di esecuzione di quell’omicidio. Lo stesso Campo riferisce che Beneduce gli disse “che quel personaggio da uccidere poteva ‘dare fastidio a livello processuale’. Non chiesi altro, e feci capire di accettare la proposta”. Secondo la ricostruzione del pentito, a quel punto Beneduce gli spiega che gli avrebbe fornito l’arma e una moto. “(omissis) – prosegue il pentito –, che era presente, seppur non richiesto in quella sede di commettere il fatto, si offrì di guidare la moto, e si dimostrò ben disposto a collaborare. Ci saremmo dovuti vedere dopo circa una settimana, una domenica. Preciso che eravamo a dicembre 2003. Mi avrebbero dato la foto ed i dettagli per individuare la vittima”.

Il nuovo rendez-vous
“Prima di andare al nuovo appuntamento – specifica Campo –, mi incontrai con (omissis), a quell’epoca mio compare e molto amico, e gli confidai ciò che stava avvenendo. (omissis) mi consigliò di non accettare, perché secondo lui si trattava di una ‘trappola’, vista la irritualità di quella richiesta rivolta a me. Probabilmente stavo già dando fastidio nella gerarchia criminale. A quel nuovo incontro con Beneduce, questi mi disse che per ora il ‘lavoro’ era sospeso; e aggiunse – avanti al fratello Fabio Beneduce – che si doveva attendere. Mi avrebbero ricontattato più in là. Di quel fatto non parlai più con nessuno”.

Contrordine: Attilio è già stato ucciso
La verbalizzazione entra nel vivo, Campo racconta di essere stato informato che quel progetto omicidiario era stato abortito: Attilio è già stato ammazzato. “A fine febbraio-primi di marzo 2004 (omissis) mi disse che il medico era già stato ucciso, e perciò non era più necessario il mio aiuto. Mi raccontò che il medico era stato ucciso a casa sua a Viterbo, e che dell’omicidio si erano occupati il cugino Ugo Manca, Carmelo De Pasquale, ed una terza persona di cui non ricordo il nome, aggiungendo che lo avevano eseguito ‘senza fare rumore’. Rimasi stupito, e (omissis) mi spiegò che era il medico che aveva curato ‘Binnu’, e cioé Bernardo Provenzano, che all’epoca si diceva fosse nascosto nel barcellonese, e che perciò il medico ‘se lo erano portato’ fino in Francia”.

La scelta
Prima di concludere, Ingroia intende esplorare le motivazioni di questo pentimento. Cosa le fece prendere coscienza?, chiede l’ex pm. “Il fatto che avrei dovuto uccidere io Attilio Manca – replica asciutto Giuseppe Campo –, e che a parole avevo accettato l’incarico; ormai ero uno di quelli che prima o poi avrebbe dovuto fare quel ‘salto di qualità’ ed assunzione di responsabilità”.
“Questa cosa fu un campanello di allarme che era ora di fermarsi finché non era troppo tardi?”, insiste Ingroia. “Esatto – replica Campo –, ed il 31 marzo 2004 iniziai a collaborare”. Il legale dei Manca lo incalza chiedendogli se di recente sia stato sentito su questi fatti dalla Magistratura. “Sì; ogni tanto, vedendo le trasmissioni ad esempio su Rai 3, pensavo a quella situazione (la morte di Attilio Manca, ndr) e però non volevo tornare su quel che feci all’epoca; dal mio punto di vista potrei considerarmi una vittima io stesso; se non avessi collaborato, avrei potuto finire in galera, ammazzato oppure ancora pieno di soldi; in ogni caso ci avrei guadagnato rispetto alla condizione di collaboratore. (…) Nel 2013 mi hanno arrestato per le cose che ho confessato io e mi hanno condannato a circa 20 anni”. Poi Campo si ferma un attimo e si domanda amaramente: “In fondo, a distanza di 10 anni e più, possibile che non si arrivi alla verità su Manca? Allora decisi di scrivere a lei ed ai magistrati”.

L’appello alla Procura di Roma
L’attenzione si sposta ora verso la Procura capitolina diretta da Giuseppe Pignatone titolare del fascicolo sul caso Manca (nelle mani del procuratore aggiunto Prestipino e del sostituto Palaia). I magistrati romani dovranno vagliare i riscontri delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che associano la morte di Attilio Manca ad un omicidio dietro il quale si muovono servizi segreti, massoneria e quella rete di protezione “istituzionale” eretta attorno a Provenzano. Tornano in mente le parole dell’ex mafioso di Ficarazzi, Stefano Lo Verso che riferisce ai magistrati di sperare che quanto da lui dichiarato “possa essere utile per risolvere l’evento dell’urologo Manca”. Ma c’è anche l’ex capo del clan dei Casalesi, Giuseppe Setola, che, però, dopo aver inizialmente rivelato quanto aveva appreso dal boss Giuseppe Gullotti decide inspiegabilmente di ritrattare. Lo scenario a tinte fosche dipinto dall’ex capo dell’ala militare di Cosa Nostra barcellonese, Carmelo D’Amico, è quello che indubbiamente ha squarciato il velo su un caso che si collega palesemente all’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. L’appello accorato della madre, del padre e del fratello di Attilio Manca rimbalza nuovamente sul palazzo di giustizia di Roma: investigate, cercate i riscontri, abbiate il coraggio di mettere in discussione tesi precostituite, contrassegnate da pregiudizi, che impediscono di arrivare alla verità. Quella verità che spetta di diritto a due anziani genitori prima di morire.

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it