La storia “taorminese” di una rapina mai commessa: una detenzione ingiusta da 100 mila euro

di F.Melia – Incarcerato per una rapina mai commessa. Accusato per nove lunghi anni (dei quali un anno e tre mesi trascorsi in una cella del carcere di Cosenza) di un crimine che non avrebbe mai potuto mettere a segno. Per questo motivo, al termine d’un vero e proprio calvario giudiziario, lo Stato ha riconosciuto il suo errore concedendo al diretto interessato oltre 100mila euro per l’ingiusta detenzione patita. Un risultato raggiunto grazie alla costanza d’un legale cosentino, l’avvocato Renato Tocci, che s’è battuto fino all’ultimo per quell’uomo che tutti credevano colpevole.
La storia è singolare e risale al marzo di dieci anni fa. Nella stazione di Taormina, in provincia di Messina, vaga un signore milanese in apparente stato confusionale. Un agente della Polfer lo soccorre e chiede cosa gli fosse accaduto. Parte così il racconto d’una rapina avvenuta a bordo d’un treno, un “colpo” da 2mila euro iniziato con l’offerta d’un succo di frutta da parte d’uno sconosciuto. Quella bevanda, però, conteneva un potente narcotico che aveva così permesso al bandito di agire indisturbato e “ripulire” la sua vittima.
Quell’episodio dà il via a un’inchiesta che s’indirizza verso l’algerino Diamel Keirredine Bokhari, un 61enne passato pure da Acri (centro silano in provincia di Cosenza) per poi uscire dai radar delle autorità italiane. Il procedimento giudiziario va avanti e, in assenza dell’irrintracciabile imputato, il Tribunale di Lamezia Terme condanna lo straniero in contumacia a cinque anni di reclusione. La pena diventa definitiva nel 2010 anche se di Bokhari si sono perse le tracce.
L’orologio va avanti così di quattro anni, quando l’algerino decide di far conoscere alla consorte i luoghi in cui ha trascorso parte della sua vita. La visita in Questura per il permesso di soggiorno temporaneo dovrebbe essere una formalità. E invece il 61enne scopre proprio lì che sulla sua testa pende una condanna detentiva. A dir poco una mazzata, seguita dall’immediato trasferimento nel carcere cosentino di via Popilia.
L’algerino non si dà pace, prova a urlare la sua innocenza con tutte le forze. Del resto, un alibi quell’uomo ce l’ha eccome. Ed è inattaccabile. Quando avvenne la rapina, il 61enne si trovava in manette davanti ai giudici del Tribunale di Salerno, imputato per furto. È quella la prova regina, inoppugnabile, che nessuno s’era premurato d’accertare prima della condanna. Senza neanche preoccuparsi di notificare qualsivoglia atto nei confronti del sospettato, che per quel vecchio furto aveva tra l’altro eletto domicilio a Napoli. Quindi esisteva un indirizzo al quale spedire l’incartamento, contrariamente a quanto emerso nel corso del primo quanto lacunoso giudizio.
L’avvocato Tocci riesce così a far riaprire il caso, ottenendo la revisione del processo e la conseguente assoluzione con formula piena del suo assistito da parte della Corte d’appello di Salerno. Adesso il sigillo finale, a spese della collettività, d’una ordinaria storia di malagiustizia.

Accusato di rapina su un treno diretto in Sicilia nonostante fosse in manette in quel di Salerno.

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