“Halloween non è la nostra festa”

Dirigenti scolastici messinesi  in difesa delle tradizioni siciliane. Convinti di come “non sia possibile accettare in modo passivo usi e costumi imposti da una cultura estranea alle nostre radici e consci che il rispetto delle diversità debba poggiare innanzitutto sulla valorizzazione delle proprie tradizioni”, quarantadue dirigenti scolastici della provincia di Messina hanno sottoscritto una circolare dove evidenziano che “Halloween non è la nostra festa” ed in difesa delle tradizioni siciliane.

Tenuto conto dell’importanza della valorizzazione culturale, storica e religiosa del nostro territorio i dirigenti invitano a voler dedicare i giorni precedenti alla commemorazione dei defunti alla riscoperta delle nostre tradizioni. “Ogni singola istituzione, in relazione alle peculiarità dei luoghi, svilupperà – scrivono – proprie iniziative che avranno tutte come comune bandiera lo slogan: In difesa delle tradizioni siciliane – Halloween non è la nostra festa.

Nel totale rispetto della libertà d’insegnamento, si invitano tutti gli insegnanti, in particolare i docenti dell’ambito artistico e letterario ed i docenti di religione, a riscoprire le tradizioni storiche, culturali, religiose e sociali del territorio”.  A titolo esemplificativo alla circolare è stato anche allegato il racconto “Il giorno dei morti” di Andrea Camilleri (che riportiamo di seguito), sul quale avviare riflessioni in merito alle tradizioni siciliane.

 

I DIRIGENTI SCOLASTICI

  1. Abbate Rosario (dirigente scolastico in quiescenza)
  2. Rinaldo Anastasi – I.C. Tortorici – I.C. n.1 Capo d’Orlando
  3. Maria Grazia Antinoro – “I.C. Aversa” – Mistretta – I.C. “L. Sanzo” – Capizzi
  4. Emilia Arena – I.C. “Saponara” – Saponara
  5. Maria Larissa Bollaci – I.S. “Sciascia-Fermi” Sant’Agata di Militello”- I.C. Longi
  6. Francesca Buta – I.I.S. “Borghese – Faranda” Patti
  7. Venera Calderone – I.C di San Pier Niceto
  8. Francesca Canale – I.C. Novara di Sicilia
  9. Caterina Celesti – I.C. “Giovanni XXIII – Messina
  10. Laura Calabrò – ITT-LSSA “Copernico” –Barcellona
  11. Rina Maria Ceraolo – I.C. Castell’Umberto
  12. Giuseppa Cosola – I.C. “Villa Lina-Ritiro” Messina
  13. Eleonora Corrado – I. C. “B. Genovese”- Barcellona
  14. Giovanna De Francesco – IIS “Maurolico”
  15. Maria Ausilia di Benedetto – I.C. “Mazzini-Gallo”- Messina
  16. Antonietta Emanuele – ITET “G. Tomasi di Lampedusa – Sant’Agata di Militello
  17. Bianca Fachile – I.C. Torrenova- I.T.C.C. Merendino di Capo d’Orlando
  18. Domenico Genovese – IC Mazzini – Messina
  19. Cettina Ginebri – I.S. “Enzo Ferrari – Barcellona
  20. Clotilde Graziano – I. C. Rita Levi-Montalcini – San Piero Patti
  21. Grazia Gullotti Scalisi – Liceo “V. Emanuele III” – Patti
  22. Mirella Guta – I.C. Roccalumera
  23. Interdonato Enza – I.C. Santa Teresa Riva
  24. Alma Legrottaglie – I.C. 2 Milazzo – I.C. Torregrotta
  25. Ester Elide Lemmo – I.C Villafranca Tirrena
  26. Maria Carmela Lipari – I.I.S. “Caminiti Trimarchi”- Santa Teresa di Riva
  27. Marinella Lollo – I. C. “L. Pirandello”- Patti
  28. Luisa Lo Manto – I.C. Militi – Barcellona PG
  29. Enrica Marano – I. C. Terme Vigliatore
  30. Angelo Messinese – I.C. “Cesareo” Sant’Agata di Militello
  31. Venera Munafò – Direzione didattica – Santa Teresa di Riva
  32. Giovanna Messina – CPIA – Messina;
  33. Felicia Oliveri – I.C “Foscolo”- Barcellona
  34. Maria Ricciardello – I. C. Brolo
  35. Carla Santoro – I.C. 1 Taormina
  36. Maria Schirò – ITN “Caio Duilio”, Messina
  37. Venera Maria Simeone – ITIS “E. Torricelli”- Sant’Agata di Militello
  38. Giusy Scolaro – IC “E. Drago”- Messina
  39. Stefana Scolaro – ITET “Leonardo Da Vinci”Milazzo
  40. Laura Tringali – I. C. “S. Margherita”- Messina
  41. Stellario Vadalà – ITIS “E. Majorana”-Milazzo
  42. Leon Zingales – I. C. “Anna Rita Sidoti”- Gioiosa Marea.

 

ANDREA CAMILLERI CI RACCONTA: “IL GIORNO DEI MORTI”

Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.

Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.

I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.

 

(da “Racconti quotidiani” di Andrea Camilleri)

 

 

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