Politica: uno spiraglio nel rebus postelettorale?

Una veduta dell'aula durante la votazione per l'elezione di componenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, Corte dei Conti e giustizia tributaria, Roma, 18 settembre 2013. ANSA/CLAUDIO ONORATI

di Giuseppe Loteta – Dalla peggiore legge elettorale che mai abbia avuto l’Italia non poteva che nascere il pasticciaccio del dopo-voto. Il panorama che si presenta alla vigilia delle elezioni presidenziali della Camera e del Senato è (o, almeno, sembra) imperscrutabile. L’unica certezza è che al partito di maggioranza spetti la presidenza della Camera, probabilmente ambita in prima persona dal leader pentastellato, Di Maio, che così avrebbe una posizione di primo piano nella successiva partita per la formazione del governo. Ma per il Senato il gioco dei “non possumus” e dei veti incrociati non lascia (almeno apparentemente) spazio a una soluzione. Ai Cinque Stelle non dispiacerebbe che a presiederlo fosse un candidato del partito democratico, favorendo così una possibile soluzione del dilemma governativo, ma il Pd postrenziano si arrocca per il momento nell’isolazionismo tanto per ciò che riguarda le presidenze parlamentari, quanto per il governo. Siamo e restiamo all’opposizione, affermano.
Non resterebbe, quindi, che la presidenza del Senato alla destra. Già, ma a chi? E in rappresentanza di una lista o della coalizione? Salvini pretende che il prescelto sia un esponente della Lega. Ma se l’accordo fosse soltanto tra Cinque Stelle e Lega, la coalizione di centro-destra si scioglierebbe e Salvini si ritroverebbe in mano solo il suo partito con il diciassette per cento dei voti e non l’intera coalizione, come è sua ambizione. Il candidato leghista dovrebbe, quindi, dovrebbe essere designato insieme da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Ma, quando si arriva ai nomi, la situazione si complica ulteriormente. E non soltanto perché Berlusconi vorrebbe che fosse di Forza Italia, e Salvini della Lega. Ma anche perchè Di Maio mette il veto a candidati che abbiano procedimenti penali in corso. E tanto Giorgetti (Lega) quanto Romano (Forza Italia) ne hanno. A questo punto lo stallo sembra totale.
E allora? Inevitabilmente, il bandolo della matassa non può che ritornare al partito democratico. Se i Cinque stelle optassero esplicitamente per la presidenza del Senato al Pd, difficilmente l’offerta potrebbe essere rifiutata. Non mancano in questo partito i nomi di candidati che offrano garanzia di imparzialità e capacita di conduzione del dibattito parlamentare. E, se i democratici non volessero per il momento impegnarsi troppo, la scelta potrebbe cadere ( e perché no?) sulla dirigente della lista Più Europa, collegata al Pd, su Emma Bonino.
Tutto questo prefigurerebbe lo scenario di un’alleanza governativa tra Lega e Pd? Non necessariamente, ma non c’è dubbio che lo faciliterebbe. Tanto più che tra i democratici cominciano a levarsi voci favorevoli a una trattativa con i leghisti. A cominciare da quella, autorevole, di Veltroni. Ma è uno scenario ancora al di là da venire. E ci vorrà molto tempo.

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