Secondo atto “That’s America” alla Gilda dei Narratori: il “doppio” Carver di Cosa parliamo quando parliamo d’amore

Raymond Carver, pictured in Syracuse, New York, in 1984. Image by Bob Adelman/Corbis

di Clarissa Comunale – Entra nel vivo l’appuntamento letterario alla Gilda dei Narratori “That’s America” con Ignazio Lax e Roberta D’Amico.
Oggetto di questo secondo appuntamento, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore (nella traduzione di Riccardo Duranti, edito Einaudi, €11,00) del maestro del racconto breve, Raymond Carver, originario dell’Oregon, del quale ricorre quest’anno l’ottantennale dalla morte avvenuta nel 1988.
Schivo e taciturno, Carver ha condotto la prima parte della sua vita, prima del successo letterario, attraversando la dipendenza dall’alcol, con un matrimonio fallito e una collezione di diverse frustrazioni, tanto da identificarsi nel tipico uomo americano White Trash, un cattivo, un “bad Ray”, che tratteggia i suoi personaggi più indecisi, dipendenti e traditori.
Sarà solo dopo aver conosciuto la poetessa Tess Gallagher che Carver darà avvio ad una seconda fase di grande cambiamento, che non solo sancisce il suo successo, tanto da fare da insegnante in corsi di scrittura creativa presso le università americane (cfr. Il mestiere di scrivere, tr. R. Duranti, ed. Einaudi, €12,00), ma che svela anche un “good Ray” compassionevole e poetico.
Riconosciuto dalla critica per lo stile “minimalista” e denso, la scrittura di Carver è attenta ai dettagli e rivela una capacità di osservazione meticolosa e a tratti disturbante.
La raccolta dei racconti contenuta in Di cosa parliamo attraversa una travagliata storia editoriale, nei testi “trucidati” dall’editore Gordon Lish, è stata modificata nei titoli, nei finali e nella stesura rispetto agli originali carveriani, che possiamo ritrovare nelle raccolte Cattedrale e Principianti (tr. R. Duranti, ed. Einaudi, €12,00 ciascuno). Modifiche di non poco conto che, se da una parte hanno puntato alla spettacolarizzazione del dolore, hanno anche, come ha sottolineato Lax, “raffreddato quello che Carver riusciva a scaldare”.
Tuttavia, rimane la peculiarità di una scrittura che inframezza indicibile e romanzato, e di personaggi ai quali non è ammessa alcuna redenzione completa, ma il loro solo reale cinismo e la miseria dei loro legami, tracce di una società che si maschera dietro la regolarizzazione e la legge comune del rispetto e dei valori:

“Uno può vivere tutta la vita osservando le regole e poi a un certo non conta più un accidente. La fortuna lo abbandona di colpo” (Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, p. 36).

Quell’amore di cui noi non siamo che dei “principianti” è il segnale tangibile di una miseria umana che si consuma nella bellezza ed unicità di un attimo di folle emozione, epilogo di un dramma interiore:

“Ho perso il controllo. Ho perso l’amor proprio. Ero una piena di amor proprio, io” (p.17).

Ma se “tutto questo amore di cui parliamo, diventerebbe solo un ricordo” (p.122), il cui superstite è sempre nuovo, ciò che resta sono i gesti semplici: la condivisione di un panino caldo, il giradischi che invita al ballo, barare ad un gioco.

Prossimo appuntamento per un nuovo momento di scambio e di lettura dei grandi della letteratura americana, giovedì 26 aprile, alle ore 18, con un’altra raccolta di racconti, Il barile magico di Bernard Malamud (ed. Minimum Fax, €13,00).

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