Massoneria, arrestato il Gran maestro Labisi: operazione della Dia

Il potente massone Corrado Labisi è stato arrestato dalla Procura di Catania a capo di Carmelo Zuccaro, che guida il gruppo di lavoro sui reati dei colletti bianchi con il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e il sostituto Fabio Regolo.

Si tratta di un’operazione di altissimo profilo, condotta dagli uomini della Direzione Investigativa Antimafia guidata da Renato Panvino, che vede impegnati i centri operativi di Palermo, Reggio Calabria, Caltanissetta e Messina.

Labisi, trentatré della massoneria, in passato “sovrano, gran commendatore e gran maestro della Serenissima gran loggia del Sud” è a capo della casa di cura Lucia Mangano e gestendola avrebbe distratto fondi regionali vincolati: ben 10milioni di euro.

I Labisi, padre e figli, sono da sempre impegnati in associazioni antimafia con l’organizzazione del premio Livatino-Saetta-Costa e sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla distrazione di fondi destinati agli anziani e ai diversamente abili.

Nei confronti di Labisi, in passato “sovrano, gran commendatore e gran maestro della Serenissima gran loggia del Sud” l’accusa è di associazione per delinquere e appropriazione indebita, in qualità di “capo, organizzatore e promotore” della presunta frode.
Nell’ordinanza non vi sono contestazioni per fatti di mafia ma in passato, in altre inchieste (operazione Fiori Bianchi), erano emersi i suoi contatti con Giorgio Cannizzaro, uno dei “colletti bianchi” in collegamento con il clan dei Santapaola-Ercolano e in alcune intercettazioni emergeva come i due “si chiamavano vicendevolmente fratelli, sostantivo com’è noto utilizzato in massoneria per indicare i consociati”.
Per il Gip, la personalità dell’indagato si pone come connotata da un rilevante tasso di pericolosità sociale: “da una parte le millantate amicizie importanti con apparati dello Stato o addirittura con i servizi segreti, dall’altra i rapporti di amicizia con mafiosi di grosso calibro, come Cannizzaro“, al quale, ricorda la Procura, “riserva un posto addirittura nelle prime file della chiesa dove si stanno celebrando i funerali della madre“.
Disposti gli arresti domiciliari per sua moglie, Maria Gallo, per la loro figlia, Francesca Labisi, e per due collaboratori: Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì.
L’istituto era stato al centro di una perquisizione. eseguita dalla Dia, per l’acquisizione di documenti e atti alla fine del settembre del 2017. Secondo l’accusa, Labisi avrebbe “gestito i fondi erogati dalla Regione Siciliana e da altri Enti per fini diversi dalle cure ai malati ospiti della struttura, distraendo somme in cassa e facendo lievitare le cifre riportate sugli estratti conti accesi per la gestione della clinica, tanto da raggiungere un debito di oltre 10 milioni di euro”.
Da una perizia, del consulente dell’autorità giudiziaria, è emerso che Corrado Labisi ha utilizzato per fini diversi 1,3 milioni di euro e sua moglie 384.000 euro. Tra i soldi distratti, secondo la Procura, distraeva ingenti somme di denaro per pubblicizzare gli eventi da lui organizzati, la copertura di spese sostenute dalla moglie e dalle figlie, il pagamento di fatture emesse per cene e soggiorni ad amici. Avrebbe inoltre sottratto soldi all’Istituto per la copertura di costi relativi all’organizzazione del premio, considerato un riconoscimento alla legalità nella lotta contro le mafie e anche per eventi relativi all’associazione “Antonietta Labisi”, madre di Corrado impegnata in vita nell’opera di assistenza verso i minorenni e gli anziani nelle zone di degrado catanesi.

Sulla pelle degli anziani
Nel corso delle indagini, è emerso come il trattamento riservato agli ospiti dell’Istituto “Lucia Mangano”, nonostante le sottrazioni, per la Procura “sarebbe stato di livello accettabile“, ma “soltanto grazie all’attività caritatevole del personale ivi preposto, e non certamente per la illecita gestione della famiglia Labisi”. In alcune testimonianze dei dipendenti viene espressamente detto che: “se fosse dipeso da loro, si continuerebbe a dare (ai pazienti) latte allungato con acqua, maglie di lana e scarpe invernali nel periodo estivo“. Secondo l’accusa gli indagati “hanno dato corso ad una attività illecita anche associativa, molto grave perché a causa delle reiterate appropriazioni indebite per importi elevati, hanno creato i presupposti per la distruzione di un ente benefico, che è stato posizionato nel tempo a livello di un azienda con scopo di lucro e assoggettabile al fallimento, ponendo le basi concrete per privare la società civile di una struttura di assistenza ai bisognosi, soprattutto ai disabili e agli anziani, e con la prospettiva di una perdita di 180 posti di lavoro“. Inoltre, al fine di sanare la pesante condizione debitoria dell’Istituto, Labisi ha proceduto, nel 2017, alla vendita del ramo dell’azienda facente capo alla struttura destinata a Rsa a una associazione calatina, si è concretizzata, nei suoi aspetti operativi, nella cessione di un’importante quota di debiti erariali e previdenziali.
La famiglia Labisi è stata promotrice anche di un premio internazionale antimafia come il ‘Livatino-Satta-Costa’ che ogni anno tra i premiati vede giudici, esponenti delle forze dell’ordine e delle istituzioni. E Labisi, osserva la Procura, era riuscito a “costruirsi una immagine modello di sé, tanto da indurre soggetti a lui legati a sostenerlo nelle sue iniziative, essendo considerato un paladino in difesa della legalità“.
Contestualmente agli arresti gli uomini della Dia stanno eseguendo anche un sequestro preventivo per oltre 1,5 milioni di beni e delle perquisizioni negli uffici e nelle sedi in cui gli indagati hanno eletto il loro domicilio nella speranza di rinvenire ulteriori documenti utili all’inchiesta.
Inoltre i pm catanese hanno anche presentato un’istanza di fallimento nei confronti dell’istituto. L’udienza è prevista per stamattina. Se la richiesta dovesse essere accolta agli indagati potrebbero essere contestati anche altri reati finanziari.

“Nessuna accusa per massoneria”
Nel corso della conferenza stampa a commento dell’operazione il Procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, ha specificato che “il riferimento ai rapporti che Labisi ha con la massoneria, con eventuali persone appartenenti al ministero della Difesa, con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata mafiosa vengono soltanto evidenziati in questa indagine soltanto per dire che Labisi è persona che non fa mistero di intrattenere rapporti con personaggi importanti e non fa mistero del fatto che, qualora lo ritenga utile possa ricorrere all’aiuto di questi soggetti”. “Non ci risulta in questa indagine– ha aggiunto – che questi soggetti siano intervenuti a suo favore così come noi non gli imputiamo l’appartenenza a logge massoniche deviate e l’appartenere alla massoneria, come voi sapete, non costituisce reato“. Quindi ha proseguito: “Dispiace veramente che si utilizzino nomi di magistrati a cui tutti siamo legati per il loro sacrificio della vita per poter intrattenere amicizie e potere vantare rapporti privilegiati. Labisi nell’ambito delle nostre indagini è una persona che e stata anche presidente del Consiglio di amministrazione dell’Istituto Lucia Mangano, un Istituto che svolge un’attività meritoria nella città perché assiste persone povere e bisognose di assistenza, di cure mediche, eccetera. E’ una persona – ha sostenuto il procuratore – che ha distratto il denaro che veniva erogato anche attraverso il pagamento di fatture per servizi rilasciati dall’Istituto Lucia Mangano da enti pubblici regionali, circa 6-8 milioni di euro l’anno, per scopi privati“.

Lo stesso Labisi – ha osservato Zuccaro – è la persona che fa parte del comitato ‘Saetta-Livatino’ e ha erogato premi a persone che vantano delle benemerenze nel contrasto alle organizzazioni mafiose. Ma la cosa illecita da questo punto di vista é che abbia utilizza somme ch erano state erogate per l’Istituto Lucia Mangano per potere svolgere quest’attività associativa intrattenendo rapporti con magistrati, forze dell’ ordine di cui poteva vantare l’amicizia perché – ha chiosato il procuratore di Catania – ovviamente, si metteva in contatto con loro per poter erogare questi premi“.
Infine il magistrato ha evidenziato come “ancora una volta i soggetti maggiormente offesi sono i soggetti bisognosi che all’Istituto Lucia Mangano ricorrevano perche avevano bisogno di assistenza e inoltre i 180 dipendenti di questi’Istituto, i cui posti di lavoro sono messi a rischio dalla gestione scellerata che nel corso degli anni Labisi ha fatto: oltre 10 milioni di euro di debito contratto“. (fonte antimafiaduemila)

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