TVE, “Delitto/Castigo”: Dostoevskij a teatro grazie a Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio

Di Clarissa Comunale – In quanti hanno davvero letto Delitto e Castigo di Dostoevskij? È uno di quei “mattoni” che incute timore anche ad un lettore “forte”, così come Guerra e Pace di Tolstoj o I miserabili di Hugo. Grandi titoli della letteratura mondiale che potrebbero rimanere anche per anni sul proprio comodino. Un impresa, serve dirlo, quella di Sergio Rubini, nell’adattamento con Carla Cavalluzzi, con “Delitto/Castigo”, che in esclusiva per la Sicilia, ha debuttato al Teatro Vittorio Emanuele di Messina.
La scena, che di fatto non c’è, è aperta. Il suono lento di gocce che cadono accoglie lo spettatore in attesa dell’inizio della pièce. Quelle gocce cominciano a scandire il tempo e a scavare l’animo fino a quando tutto inizia e tutto avviene in un unico atto, di fila, d’un fiato, si accende un lungo reading in cui Sergio Rubini raccoglie a sé la maggior parte dei tantissimi ruoli del romanzo dostoevskiano. Regista e narratore, tesse e tiene le fila di quei tanti cappotti appesi e sospesi sul palco, conducendo e separando da sé Luigi Lo Cascio nel ruolo da protagonista dell’ex studente di legge Rodja Roskòl’nikov, reo di duplice omicidio.
“Delitto/castigo” modifica il titolo, sostituendo la “e” congiunzione con uno slash che pone un primo quesito: delitto o castigo? Delitto contro castigo? Né delitto né castigo?
Serve ricordare che il romanzo di Dostoevskij nel suo titolo originario russo significa in italiano Il delitto e la pena sulla scia del saggio settecentesco di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, in cui si affrontava per la prima volta il tema della pena commisurata alla commissione di reato e la riabilitazione attiva della condizione carceraria. La trama di Delitto e Castigo, com’è noto, tratta il tormento, ovvero il caso di coscienza morale, del giovane Rodja che, a seguito dell’omicidio, premeditato, della vecchia ricca usuraia, proprietaria della “bettola” ove era affittuario, “pidocchio” alla quale era asservito, si imbatte nel duplice omicidio della sorella di quest’ultima sopraggiunta improvvisamente sulla scena del crimine, in cui è l’unica ad aver visto e conosciuto il volto del carnefice della vecchia sorella. Da quel momento, lo “stato di tensione, d’irritabilità”, di nevrosi che già caratterizzava di per sé Rodja, aumenta inesorabilmente, tanto da tormentarlo nella mente e nel fisico.
“Sono stato io” dichiara Rodja, alias Luigi Lo Cascio, a chiusura della pièce, in cui gira forsennatamente lungo tutto il palcoscenico con in mano il suo copione in una mano, insieme ad un leggio che appare e scompare e che è la prova tangibile del legame indissolubile con il testo originario, quel testo che non può essere tradito né tanto meno superato. Le parole di Dostoevskij, così, si accompagnano ai suoni che provengono dal retroscena aperto al pubblico, una bottega visibile, curata da G.U.P. Alcaro, da cui emergono in maniera forte e dirompente i colpi di accetta sferrati sulla vecchia usuraia così come le frustate nella scena del ricordo delle violenze sulla cavallina. Quegli “uomini superiori”, che si differenziano dagli uomini comuni, piccoli e fragili come le masse, generatori di “parole nuove”, impronunciabili da Rodjia, sono “distruttori”, in quanto demolitori del presente in funzione della costruzione di un futuro differente. Il male umano, che innerva anche un comune studente, è il segno di una condizione impossibile da estirpare e che si espande a macchia d’olio su quasi la totalità dei personaggi della storia; un male che fa assumere all’uomo sembianze bestiali, come nel personaggio di Marmeladov, nell’incosciente ricerca di continua sofferenza, a cui si aggiunge il vero male umano: la miseria, presente persino nel ricco Luzin. Quel Dio misericordioso che più volte traspare dalle parole della madre di Rodjia, e da quel capezzale posto in fondo alla scena, è lo sguardo onnisciente e onnipresente che provvede al vero castigo, quello morale, che nemmeno la legge riesce ad innescare, fin troppo cieca e umana. Il momento della confessione, più volte rinviato, arriva poi inaspettatamente e nell’intimità di un dialogo con la sorella di Rodjia, nell’accettazione della condizione di sofferenza a cui è non ci si può sottrarre. Nell’out-out tra la soffocazione del senso di colpa e il suicidio, la morale lascia spazio all’etica, in un caso di coscienza di grande attualità, ove tuttavia ancora manca l’anelito di speranza con cui, invece, si conclude il romanzo dostoevskiano.
Due anni in giro per i teatri italiani, “Delitto/Castigo” di Rubini giunge alla sua 70° replica a Messina, tra un pubblico che, con ripetuti applausi, e commenti positivi a fine spettacolo, decreta il successo e il cammino di ricerca della pièce.

DELITTO/CASTIGO

di Fëdor Dostoevskij

adattamento teatrale di Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi

con Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini

Francesco Bonomo, Francesca Pasquini

e con G.U.P. Alcaro

voci Federico Benvenuto, Simone Borrelli, Edoardo Coen e Alessandro Minati

scene Gregorio Botta

costumi Antonella D’Orsi

musiche di Giuseppe Vadalà

progetto sonoro G.U.P. Alcaro

luci Luca Barbati e Tommaso Toscano

regista collaboratore Gisella Gobbi

foto Luigi Lo Cascio � Pino Le Pera

regia Sergio Rubini

produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo e Fondazione Teatro della
Toscana

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