Mafia, decreto liquidità: Ardita e Di Matteo chiedono misure severe sulla tracciabilità del denaro

Integrare il decreto Credito Italia con misure che impediscano di buttare il denaro nelle mani della mafia, degli speculatori, dei corrotti. I magistrati fanno sentire la propria voce al ministro Bonafede, e allo stesso modo sono l’ex pm di Palermo e protagonista del processo Trattativa Stato-mafia Nino Di Matteo e il giudice barese Giovanni “Ciccio” Zaccaro, oggi hanno ufficializzato la loro richiesta di aprire una pratica nella commissione che dà i pareri sulle leggi. La loro idea, e soprattutto le loro proposte, sono state sottoscritte dall’ex procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita(del gruppo di Autonomia e indipendenza) e da tutto il gruppo della sinistra di Area, Giuseppe Cascini, Alessandra Dal Moro, Elisabetta Chinaglia e Mario Suriano.

Ecco le quattro proposte: “Appaiono opportune misure che impongano di vagliare – anche tramite la forma della autocertificazione – i precedenti penali di chi occupa ruoli rilevanti nelle imprese che si candidano a percepire i finanziamenti, così da escludere chi sia stato condannato per reati di criminalità organizzata, reati contro la pubblica amministrazione e reati tributari nonché proposto per la irrogazione di una misura di prevenzione personale o patrimoniale”. È necessario che “l’entità del beneficio percepito sia rapportato al fatturato dichiarato nell’anno precedente, in modo da non premiare forme di evasione fiscale”. Va garantito che si possano “tracciare – anche tramite l’accredito in conti correnti “dedicati”- i benefici percepiti affinchè si possa avere contezza del loro uso compatibile con l’intento del legislatore”. Infine vanno potenziate “le amministrazioni periferiche dello Stato e le Agenzie di controllo affinchè possano monitorare la destinazione dei finanziamenti”.

Secondo i sette consiglieri del Csm “misure siffatte potrebbero  servire a prevenire fenomeni, purtroppo noti nella storia giudiziaria del paese, di malversazione dei fondi pubblici o di illecita concorrenza delle imprese illegali, rispetto ai quali l’intervento dell’autorità giudiziaria è per forza di cose successivo e meno efficace”.

L’intervento previsto dal decreto Credito Italia viene giudicato “opportuno”, ma a patto che si vigili “sul rischio di favorire anche le imprese criminali”, perché al momento il decreto stesso “non contiene alcun meccanismo per escludere dai benefici le imprese riferibili a persone coinvolte in processi di criminalità organizzata o che  abbiano riportato condanne o siano indagati per reati contro la pubblica amministrazione o reati tributari, né consente di verificare l’effettivo utilizzo dei fondi percepiti per affrontare la crisi legata alla diffusione del Covid-19”. Secondo i consiglieri del Csm invece le misure proposte “potrebbero servire a prevenire fenomeni, purtroppo noti nella storia giudiziaria del paese, di malversazione dei fondi pubblici o di illecita concorrenza delle imprese illegali, rispetto ai quali l’intervento dell’autorità giudiziaria è per forza di cose successivo e meno efficace”.

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