Uscita di Giostra chiusa, rampe Annunziata-Giostra mai finite: e vogliamo il Ponte?

di Palmira Mancuso – In questi ultimi giorni i messinesi (ma anche i siciliani che passano dalle nostre autostrade per poi traghettare) fanno i conti con la realtà di un sistema autostradale che nonostante i collaudi nel 2009, oggi nel 2020 ci dice ancora che per l’apertura delle rampe di collegamento tra lo svincolo di Giostra e la galleria San Jachiddu sono previsti “tempi lunghi”.

Ieri Michele Barresi della Uil ricordava che “questa amministrazione che più volte ha etichettato come “strumentali” le segnalazioni in merito, rimandando di mese in mese l’apertura della rampa, oggi palesa che serviranno ulteriori lavori e approfondimenti che potrebbero richiedere svariati mesi e ulteriori costi”.  Ovviamente il sindacalista si chiede, e non è il solo, chi pagherà questi costi ulteriori che certamente ci saranno? Chi e come risarcirà la città per i disagi subiti e il denaro pubblico ancora speso?

Emblematica la risposta dell’ex vicesindaco Mondello che dichiara “servono lavori più seri rispetto a quello che si pensava e quindi tempi più lunghi” e aggiunge però che “grazie al dl semplificazioni, speriamo di affidare in breve il progetto, appaltare e realizzare i lavori, abbiamo già individuato la fonte di finanziamento”.

Dunque finchè ci sono lavori, c’è speranza. Lo sanno bene siciliani e calabresi, che sui lavori pubblici hanno fatto “fortune”: cantieri che per qualcuno sono durati un’intera vita lavorativa (vedi la Salerno-Reggio Calabria o l’ultimo tratto della A20, giusto per ricordare le banalità).

Fatte salve persino le buone intenzioni dettate da vetuste ideologie di sviluppo del territorio legato alla cantieristica, anche solo immaginare di aprire i cantieri del Ponte è un salto nel vuoto. Vorrebbe dire consegnare la parte più attrattiva della città a chi annaspa a finire persino uno svincoletto dopo 11 anni e già collaudato.

Non vorremmo banalizzare i motivi più tecnici del no a Ponte, ne sminuire le passioni politiche che il dibattito stimola: ma siamo sempre al paradosso di una struttura che piuttosto che unire divide, soprattutto a chi serve il solito dualismo destra-sinistra che in questo caso non è supportato dalla realtà. Oggi il governo giallo-rosso, ieri quello giallo-verde: tutti hanno sempre un buon motivo per riempire i giornali di titoli sul Ponte. E chi propone il referendum popolare, chi si rifugia sugli ennesimi studi da fare (perchè sessant’anni di Stretto spa non sono bastati), chi addirittura prevede di usare i soldi presi a debito dal Recovery Found per far ripartire il Paese (dove il divario tra nord e sud sul tema della mobilità interna è notevole e vera causa di mancato sviluppo industriale e turistico).

Nel tempo delle post-ideologie il no al Ponte non può essere dettato dalla nostalgia delle grandi manifestazioni che hanno caratterizzato gli anni 90, ma da una seria riflessione sulla realtà. Anche volendolo il Ponte non avremmo alcuna realistica capacità di farlo. Possiamo studiarlo e possiamo parlarne. I soldi per questo ci sono sempre stati e ci saranno. Ma non dite ad un siciliano, ad un messinese che rischia la vita in autostrada ogni volta che prova una “gita fuori porta” e se va bene fa mezz’ora di fila quando rientra in città dalla tangenziale, che se vuole prendere il treno deve farsi la croce e scegliere solo località facilmente raggiungibili, che se prende l’areo deve sperare di arrivare in tempo per l’ultimo pullman, che la soluzione è il Ponte.

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