La morte di Kristofer, qual è il confine del “fare bene”?

di Fra Giuseppe Maggiore – “Esiste una povertà ben più grande: non essere amato, sentirsi escluso ed emarginato”. Questo è il messaggio che si legge sulla panchina dove qualche giorno fa è morto Kristofer, per la gente che non lo ha conosciuto un clochard polacco, per chi lo ha seguito in questi anni un amico, uno di famiglia.

Non sono d’accordo con il biglietto che riporta un aforisma trovato su internet attribuito a Madre Teresa di Calcutta. Kristofer come tanti che vivono la strada ha fatto una scelta dettata dalla sua libertà, una libertà che deriva dalla consapevolezza di scegliere ciò che ti fa sentire bene con te stesso. Chi sta in strada lo fa o perché è costretto dalla non capacità di saper gestire la propria vita o perché la sceglie come stile di vita.

Chi sta in strada e la sceglie come dimora, lo fa perché si sente libero come gli uccelli del cielo, perché non ha nulla da difendere, non vuole responsabilità su nulla.

I barboni o i clochard  non sono emarginati o poveracci, hanno scelto una vita libera: non sono cassintegrati, non hanno perso il lavoro ma molti di loro lo hanno lasciato, non sono tossicodipendenti e non tutti sono alcolizzati, ne ho conosciuti tantissimi con una perfetta lucidità mentale, con una cultura e levatura morale che a volte non trovo nelle cosi dette persone per bene.

Kristofer era una persona per bene, amava portare la cravatta, vestire bene… si sceglieva ciò che doveva indossare. Ha dormito spesso nelle case di accoglienza della città, spesso anche al dormitorio comunale, “la casa di Vincenzo”.

Gli operatori e ne sono testimone io stesso, lo veneravano: lo lavavano, lo accudivano, lo custodivano. Ma Kristofer appena stava un po’ meglio, appena si riprendeva dalle sue infermità (ne aveva tante) ritornava dove si sentiva padrone di vivere.

La sera prima che morisse l’ho invitato ad andare alla Casa di Vincenzo, mi sono offerto di accompagnarlo, la risposta è stata quella che poi hanno trascritto i giornali e qualcuno l’ha fatta sua: “ Voglio rimanere qua ad ascoltare la musica di Natale e guardare l’acqua colorata”.

Kristofer ha voluto morire sotto il cielo, non in una struttura,  non dentro le mura, lui che i muri li ha sempre demoliti per vivere relazioni libere, aperte… vere.

Non è vero che è morto da emarginato e non amato, forse sarebbe più giusto non strumentalizzare la morte di chi ha scelto come morire, forse sarebbe più giusto interrogarci su cosa facciamo noi per i poveri, avendo la capacità di ascoltarli e di non imporre le nostre regole che spesso emarginano e allontano l’uomo, se siamo capaci di donare un sorriso… il nostro tempo.

Spesso aspettiamo che siano le istituzioni ad occuparsi dei poveri, interroghiamoci piuttosto  su cosa facciamo personalmente per loro. Una profonda riflessione ed esame di coscienza, forse ci aiuterebbe a non giudicare, ma ad addossarci le nostre responsabilità nei confronti di chi vive nella nostra stessa città, rispettando la libertà e le scelte dell’altro anche se queste non sempre sono condivisibili.

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