“Giostra come Scampia”: l’ipocrisia di un dibattito superato

di Palmira Mancuso  – L’operazione MarketPlace non ha semplicemente portato all’arresto di due bande criminali che a Giostra si spartivano le piazze dello spaccio, ma ha squarciato il velo di ipocrisia sulle periferie cittadine e sul degrado sociale in cui la mafia fonda il suo potere di coercizione, agganciando i più giovani che non vedono alternative alla sopravvivenza se non far parte di un sistema.

L’immagine delle palazzine Iacp di Via Seminario estivo ha evocato quella delle Vele di Scampia, e attraverso questa suggestione, compreso tutto il corollario di luoghi comuni a partire dalla serie Gomorra, ha provocato un duplice effetto: da un lato la consapevolezza che i problemi delle periferie sono simili, dall’altro che siamo in ritardo su un dibattito che superi la criminalizzazione per arrivare al riscatto. Ad esempio proprio a Scampia, si organizzano già dei “tour”, vere visite guidate per conoscerla dal di dentro, per raccontarne la complessità, attraverso la stessa gente che la vive ogni giorno.

A Messina dunque siamo ancora nella fase della repressione, della ghettizzazione, dell’aver “scoperto” che esiste una periferia dove i giovani seguono il più forte, dove tentano la scalata in un microcosmo criminale. L’ultimo anello di una pianta che si rigenera, nonostante il territorio sia stato sempre al centro di importanti inchieste giudiziarie, nonostante i vecchi capi siano tutti in carcere, nonostante…

L’ascesa di Angelo Arrigo da un lato e Antonio Bonanno dall’altro, specializzati nello smercio di cocaina, eroina, marijuana, hashish e skunk (una varietà di cannabis), fotografa una realtà violenta, dove vengono ribaltati i termini valoriali di fedeltà, amicizia, famiglia: fratelli, mogli, suocere, cognati, lo scopo è quello di produrre soldi in un sistema  che il procuratore dichiara di essere stato disarticolato.

Dentro queste palazzine dello spaccio, il viavai è continuo tra chi vende, chi compra, chi fornisce. Un microcosmo in cui è superata persino la questione di genere: le donne, al pari degli uomini, hanno un ruolo fondamentale gestendo non solo la cassa ma anche i rapporti di forza. Come Veronica Vinci, moglie di Antonio Bonanno e sorella di Luigi Vinci proprietario della moto da cui vennero esplosi colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di Paolo e Gaetano Arrigo,davanti al mercato Sant’Orsola. Un ferimento che si inquadra nella guerra per la spartizione del mercato delle droghe.

E dunque parliamo di queste droghe, senza ipocrisia. I numeri di questa operazione ci confermano non solo il giro d’affari (sono stati sequestrati beni per 300 mila euro) ma anche la consistenza di un mercato florido che per quanto riguarda il consumo di cannabis, interessa oltre 6 milioni di italiani (messinesi compresi).

La proposta ferma in commissione giustizia in Parlamento di legalizzare la cannabis non è una proposta naif, ma la volontà di un dibattito serio e responsabile sul tema. A partire dal concreto effetto di sottrarre alla mafia un tassello importante della sua economia.

E sul tema, che deve viaggiare parallelo alla necessità di politiche educative nei confronti delle periferie sociali, si è espressa anche la Direzione Nazionale Antimafia che in un documento ufficiale indirizzato al Governo (pro. 20217/2016) “esprime parere positivo per tutte le proposte di legge che mirano a legalizzare la coltivazione, la lavorazione e la vendita della cannabis e dei suoi derivati”.

Secondo la DNA “la legalizzazione, infatti, se correttamente attuata, potrebbe portare ad una rilevante liberazione di risorse umane e finanziarie in diversi comparti della Pubblica Amministrazione (FFOO, Polizia Penitenziaria, funzionari di Prefettura, ecc.)”.

Dal “mitico” “isolato 13” degli anni 80  la mappa delle centrali di spaccio messinese si attualizza con le “palazzine di via seminario estivo”, senza che si sia agito per promuovere una alternativa a quella che appare l’unica scelta possibile per sopravvivere a chi è nato e cresciuto in quel rione.

Ma per essere “come Scampia” adesso, bisognerebbe riconoscere il grande lavoro seguito alla fase di repressione: un welfare sociale che oggi porta il nome, ad esempio, del Chikù, il primo ristorante italo rom in Italia e l’unico ristorante di Scampia in cui lavorano fianco a fianco donne napoletane e donne rom, in uno spazio gastronomico e interculturale. O  l’Arci Scampia, la scuola calcio nata nel 1986 che fin dalla sua fondazione è stata sempre attenta ai ragazzi ponendosi come punto di riferimento a salvaguardia dei minori a rischio. Insomma il territorio non possiamo mai guardarlo dall’alto. Dentro quelle case c’è molto altro da vedere, per cui interrogarsi, per cui attivarsi.

 

 

 

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