“Il Tessuto delle Muse” di Massimo Raffa, un viaggio tra i miti musicali del mondo classico

di Concetta Pascon – Nella sua ultima fatica letteraria, “Il tessuto delle Muse”, data alle stampe nel 2021, Massimo Raffa affronta con precisione filologica, ampia erudizione e, a tratti, anche con gradevole ironia ed inaspettate incursioni nella letteratura e nella storia moderne, un tema affascinante, cioè quello della musica nel mondo classico, percorrendo vie poco battute e proponendo talvolta nuove ed interessanti interpretazioni di passi e testi cardine della letteratura greca.

L’occasione per accostarsi a questo libro è stato l’incontro con l’autore, organizzato dall’Istituto di Istruzione Superiore G.B. Impallomeni di Milazzo nell’ambito del progetto “Lettura – Biblioteca – Ufficio Stampa” che ha coinvolto studenti e docenti, colleghi del  professore di greco e latino al liceo classico.

Il tema non è tra quelli più dibattuti tra i filologi classici, non perché la musica fosse marginale nel mondo antico, ma semplicemente perché, per un mero accidente della trasmissione, di questa arte sono rimasti solo pochi resti e spesso di difficile interpretazione. Ma indubbiamente la musica dovette accompagnare lo sviluppo della civiltà greca sin dai suoi albori.

Molti indizi inducono a credere che fino al IV sec. A.C. i Greci non abbiano sentito la necessità di fissare per iscritto la partitura dei loro carmi; la tradizione manoscritta dei poeti greci, che risale in genere alle edizioni critiche dei filologi alessandrini, non ci ha restituito testi forniti di notazione musicale. Sappiamo che l’antica musica greca ignorava la polifonia; anche nel caso dell’esecuzione corale i coreuti cantavano all’unisono la stessa melodia. Era una musica lineare che in origine aveva la funzione di connotare il testo poetico in relazione al genere, alla destinazione e all’occasione dell’esecuzione.

Un elemento di cui possiamo farci certamente un’idea è il ritmo del testo poetico, basato su alternanza di sillabe di quantità breve e lunga. Abbiamo accennato al concetto di una musica che connota i generi poetici; si tratta di versi che spaziano dal solenne genere epico, attraversando le varie corde della lirica (da quella veemente del  giambo a quella celebrativa della lirica corale) giungendo fino all’universo teatrale della commedia e della tragedia.

Sono tutti versi che oggi vediamo fissati nelle pagine dei libri, che facciamo nostri attraverso la lettura e che invece nel mondo greco erano impensabili senza la musica. Soprattutto nella primitiva fase dell’auralità, l’esecuzione dei versi condizionava fortemente la natura del prodotto letterario perché l’emittente e il destinatario si trovavano in tempi e spazi comuni influenzandosi a vicenda, al punto che l’esecuzione diventava un momento imprescindibile del momento creativo.

Insomma la performance nella quale rientrava, oltre la parola letteraria, la musica, era parte integrante dell’evento letterario. Ma di questa musica, come già detto, non ci è dato sapere abbastanza. Del complesso intreccio costituito da parola, musica e canto, ci rimane solo l’impalcatura verbale, lo scheletro. Come se della produzione operistica moderna fosse naufragata la componente musicale (la partitura) e si fossero salvati solo i libretti ( la componente letteraria).

Per fortuna ci viene in soccorso il mito, la parola-canto tessuta dalle Muse, che, nei versi della Teogonia esiodea, con i quali il professore Raffa dà l’avvio alla propria dissertazione, cantano “il presente, il passato e il futuro”, offrendone qualche scampolo ai mortali.

Oltre alla parola-canto delle muse, “necessarie figlie di Zeus”, gli dei donano ai brotoi anche gli strumenti musicali. Attraverso una serrata disamina dei miti nei quali compaiono gli usuali strumenti musicali con i quali i greci accompagnavano l’esecuzione dei propri versi, l’autore ha l’opportunità di passarli in rassegna, evidenziandone la tecnica di utilizzo, nonché il posto che occupavano nell’immaginario greco, fino ad illustrare come la lira (strumento a corde) e l’aulos (strumento a fiato) rappresentassero due mondi percettivi e metaforici diversi tra loro.

Sempre dipanando il filo ordito dalle Muse nel tessuto da loro donato ai mortali, l’autore prosegue disvelando varie funzioni straordinarie, se non addirittura “poteri”, attribuiti dai Greci alla musica. Ci ricorda, quindi, il mito affascinante della fondazione di Tebe ad opera di un citaredo che sposta le pietre che andranno a comporre le mura solo attraverso il suono dellla propria cetra.

Insomma la musica ha il potere di costruire, di mettere ordine nel caos, ma anche di salvare. Per illustrare questo potere salvifico dell’arte melica, Massimo Raffa ci invita a rimanere a Tebe, ma ci conduce dal tempo mitologico a quello storico: anno 335 a.C. Alessandro Magno fa breccia in quelle mura nate miracolosamente dal suono di una cetra e mette a ferro e fuoco la città.

Alessandro ricorda che Tebe è la città natale di uno dei più grandi poeti greci, Pindaro. Mentre il re ordina di abbattere tutti gli edifici della città, vuole che la casa di Pindaro sia lasciata intatta e che i suoi discendenti siano risparmiati. “Una cetra quel giorno –  afferma il professore –  era riuscita a tenere in piedi un muro e a mantenere in vita delle persone”.

Con un volo pindarico e un salto temporale di secoli, questo episodio mi ha condotto con la mente ad un’altra scena di un celebre film di Roman Polansky, tratto dal romanzo autobiografico di Wladislaw Szpilman, “Il pianista”. Varsavia, anno 1939. Un musicista ebreo cerca di sfuggire al rastrellamento dei soldati nazisti. Una S.S. lo scopre nel suo nascondiglio, gli chiede quale sia il suo mestiere. “I was a pianist”-risponde. All’invito del generale tedesco “Suona qualcosa”, egli esegue la Ballata n.1 op. 23 di Chopin e da lì inizia il suo percorso verso la salvezza. Episodi come questi, seppur distanti nel tempo, ci suggeriscono il potere della musica, e dell’arte in genere, di farci rimanere umani, sensibili alla bellezza e propensi alla pietà anche quando imperversa la barbarie e “ il sonno della ragione” genera i mostri di tutte le età storiche.

Continuando ad analizzare il tessuto mitologico elaborato dalle muse, l’autore mette in risalto altre valenze attribuite alla musica nel mondo greco: ad esempio, quello di presentarsi come rimedio alle sofferenze umane, una sorta di rito catartico (come ci suggerisce attraverso la sua interpretazione delle vicende delle Baccanti di Euripide).

Nella rievocazione dei mitici aedi Femio e Demodoco, egli ci presenta  la musica come baluardo della moralità, o ancora come ispiratrice di gesta eroiche, complementare rispetto all’azione (lettura avanzata nell’analisi dell’episodio omerico di Achille che, nella pausa dalla guerra, canta e suona la cetra), ed infine analizza la musica come strumento che  salva da altri suoni insidiosi e letali (nel mito di Orfeo che nelle Argonautiche vince con la propria cetra il canto ammaliante delle sirene).

In ultima analisi, il professore Raffa si chiede cosa sia stato di tutto questo patrimonio mitologico e musicale al tramonto del mondo classico. Ebbene, la civiltà cristiana, spesso così restia a riprendere temi e immagini pagane, si appropria in modo quasi naturale del personaggio di Orfeo, il cantore per antonomasia, capace di farsi ascoltare da oggetti inanimati e viventi e di annullare i conflitti.

Nella tipica lettura figurale, con la quale i cristiani salvarono molti temi e personaggi classici rinnovandoli e caricandoli di un nuovo significato, Orfeo diviene la “figura”, l’anticipazione di Cristo stesso. Significativamente il libro si conclude con l’immagine di Orfeo che pizzica le corde della sua lira, dipinta nelle catacombe cristiane a Roma, quasi a voler rappresentare icasticamente un passaggio di testimone dal mondo antico alla nuova era cristiana. La musica deve cambiare, adattarsi a nuove esigenze sociali e culturali, ma non può e non deve morire.

Intendiamo infine ringraziare Massimo Raffa per il suo prezioso contributo, con il quale ci ha guidati alla scoperta del valore dell’arte musicale nel mondo antico, rendendoci sempre più consapevoli di quanto siamo debitori verso coloro che per primi hanno educato l’animo umano alla bellezza, la quale, tra le tante forme di manifestazione, trova nella musica una delle sue espressioni più intense ed emotivamente coinvolgenti.

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