BEPPE ALFANO: 19 ANNI FA LA MAFIA UCCIDEVA IL CRONISTA BARCELLONESE

 

Aveva cominciato con le radio private alla fine degli anni ’70, a Messina, poi, negli anni ’80, le televisioni locali. Quando fu ucciso, non era neanche iscritto all’Ordine dei giornalisti: il tesserino gli fu riconosciuto solo dopo la morte. Per vivere, faceva il professore di educazione tecnica in una scuola media di un paese vicino a Barcellona, per passione ilcorrispondente del quotidiano “La Sicilia” come cronista giudiziario, raccontando  le vicende riguardanti il comprensorio barcellonese, interessato in quel periodo da una sanguinosissima guerra di mafia.

L’8 gennaio del 1993 era di ritorno dall’ ospedale nel quale la moglie, Domenica Barbaro, lavorava come infermiera.  Si fermò davanti casa e dopo aver fatto entrare la moglie in casa intimandole di chiudersi dentro, riparti alla volta di qualcosa o qualcuno che aveva attirato la sua attenzione. Fu ritrovato poche ore dopo, vicino casa, nella sua auto, con il finestrino abbassato, segno evidente che stesse parlando con qualcuno. Il suo corpo esanime presentava tre colpi di piccolo calibro. Uno sulla mano, evidentemente provò d’istinto a parare il colpo, uno al petto, uno sulla tempia destra e l’ultimo in bocca.

 “Nella provincia di Messina, cosiddetta ‘babba’ perché allora erroneamente considerata immune dal fenomeno mafioso, Beppe Alfano svelò una realtà ben diversa da quella che si voleva far credere. Nei suoi articoli e nelle sue inchieste giornalistiche raccontò la presenza di consorterie criminali e collusioni mafiose con il mondo delle istituzioni locali e degli affari che condizionavano la vita politica, economica e sociale.” Lo ricorda così  il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia, in occasione dell’anniversario. “ Una scelta coraggiosa che Alfano fece per amore del giornalismo e della sua terra, quando scrivere di mafia voleva dire guadagnare una miseria e allo stesso tempo rischiare la vita. Beppe Alfano sapeva che per combattere la mafia bisognava renderla visibile ai cittadini, chiamarla per nome, spiegarne gli effetti nefasti sulla vita dei cittadini e delle imprese. La sua testimonianza è un faro per chi vuole intraprendere e per chi svolge l’attività giornalistica, ma anche un esempio di coraggio e di libertà per tutti”. 

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it