SCORSESE, IL 3D E LA GENESI DI HUGO

 

Si dice che ci sia una prima volta per tutto, ma nonostante questo è affascinante assistere a queste due prime volte di Martin Scorsese: a 70 anni, dopo oltre 40 anni di invidiabilissima carriera, il famoso cineasta gira il suo primo film per ragazzi e il suo primo film in 3D.

Gli anni della sua formazione coincidono con il boom del 3D degli anni 50.  “Era il 1953 e il primo film che ho visto è stato ‘La Maschera di Cera‘ — forse il migliore film in 3D mai fatto.
Ma è il 3D di Alfred Hitchcock ne ‘Il delitto perfetto’ ad essere davvero incredibile.  Al posto di essere limitato ad un effetto, interagisce con la storia e utilizza lo spazio come un elemento della narrazione.  Lavorando con il 3D ho scoperto che questa tecnica accentua la performance dell’attore, è come guardare una scultura che si muove. Non è più piatto.  Con le giuste performance e i giusti movimenti, diventa un miscuglio di teatro e di cinema, ma diverso da entrambi.  E’ una cosa che mi ha sempre interessato … ho sempre sognato di fare un film in 3D”.

Il cast del film è impressionante, per fare qualche nome: Ben KingsleySacha Baron CohenAsa Butterfield(protagonista de “Il ragazzo con il pigiama a righe”), Christopher LeeJude Law.
Ugualmente prestigiosa è la squadra tecnica dietro la macchina da presa, composta da artisti di grande talento, molti dei quali sono frequenti collaboratori di Scorsese: il doppio premio Oscar alla fotografia Robert Richardson(“Bastardi senza gloria”, “The Aviator”); lo scenografo vincitore di due premi Oscar Dante Ferretti (“Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street”, “The Aviator”); la montatrice che ha vinto tre Academy Award Thelma Schoonmaker; la costumista tre volte premio Oscar Sandy Powell; il supervisore effetti visivi premiato con l’OscarRob Legato (“Shutter Island” “Titanic”); e il compositore pluri premio Oscar Howard Shore.

Film e Romanzo

Dopo un’infanzia trascorsa a Little Italy, il quartiere italiano di New York City, fra gli anni ‘40 e ‘50, il giovane Martin Scorsese iniziò a lavorare nelle case cinematografiche dell’epoca. Ed è stato amore a prima vista quando il suo produttore, Graham King, gli mise in mano il romanzo di Brian SelznickThe Invention of Hugo Cabret, amore che in realtà è l’amore per il cinema.

Scorsese ricorda: “Ho ricevuto il libro quattro anni fa, ed è stata un’esperienza molto intensa … L’ho letto tutto d’un fiato, in brevissimo tempo.  Ho sentito subito un’affinità con la storia di questo ragazzo, con la sua solitudine, il suo interesse nel cinema, i meccanismi della creatività.  Gli oggetti meccanici del film, che comprendono cineprese, proiettori e gli automi, consentono al ragazzo di stabilire un contatto con il padre,  e al regista Georges Méliès di ritrovare se stesso e il suo passato”.

L’autore così racconta come è nato il libro:  “Ricordo di aver visto ‘Viaggio nella luna’, l’incredibile film del 1902 di Georges Méliès, e la memorabile scena in cui un razzo si schianta sull’occhio della luna che ha la forma di un volto umano, si era radicata fermamente nella mia immaginazione.  Volevo scrivere la storia di un ragazzino che incontra Méliès, ma non sapevo quale potesse essere la trama. Sono passati anni. Ho scritto e illustrato oltre 20 racconti. Poi, nel 2003 mi è capitato fra le mani un libro intitolato Edison’s Eve di Gaby Wood.  E’ una storia che parla proprio degli automi, e con mia grande sorpresa, c’era un capitolo dedicato a Méliès”.

Gli automi di Méliès (robot azionati da un meccanismo interno, che sembrano in grado di svolgere funzioni autonome) sono stati donati ad un museo dopo la morte del regista, dopo essere stati ritrovati in una soffitta, dove erano stati dimenticati e rovinati dalla pioggia.
Scorsese riguardo al romanzo dichiara: “Brian Selznick e il suo libro sono stati una continua fonte di ispirazione, infatti ne portavamo sempre con noi alcune copie.  Il libro ha un look molto preciso e anche il nostro film ha il suo, molto diverso da quello del libro, che ad esempio è in bianco e nero. Abbiamo voluto unire realismo e fantasia”. 

Méliès
Hugo Cabret va oltre la semplice narrazione dell’avventura di un ragazzo, ma è un pretesto tramite cui raccontare, attraverso i flashback, l’intero arco della carriera di Méliès… da illusionata a regista e infine, negoziante.  Scorsese dopo aver visionato oltre 500 film del grande cineasta  ha scelto “Le royaume des fées” del 1903.    “Volevo mostrare tre o quattro scene del film ma poichè il film ha luogo sott’acqua abbiamo pensato che sarebbe stato interessante mostrare il modo in cui sono state effettuate le sequenze subacquee: semplice ed incredibilmente efficace”.
E ancora: “Le palais des mille et une nuits” racconta di un gruppo di scheletri che scompaiono non appena incontrano dei guerrieri armati di spada.  Méliès stesso è apparso nel ruolo di Satana in molti film e Kingsley lo imita perfettamente, indossando lo stesso costume ed effettuando la nota sparizione attraverso una botola nel pavimento.
Ogni film di Méliès citato in Hugo Cabret è stato riprodotto fedelmente sotto ogni aspetto: dalle apparizioni degli attori e dei loro movimenti, ai costumi, le luci e gli effetti.
La priorità è stata quindi l’autenticità e l’accuratezza, e i filmmakers hanno fatto di tutto per conferire autenticità… ad esempio le sarte che lavorano sui film di Georges Méliès sono in realtà le sarte che hanno lavorato in “Hugo Cabret”. Scorsese afferma: “Non ci siamo preoccupati dell’enormità dell’impresa perché è stato bellissimo. Mentre lavoravamo nello Studio di Méliès, sembrava che stessimo celebrando noi stessi, ed è stato un onore per noi realizzare la nostra versione di queste opere così note e lontane nel tempo”.
La Parigi del 1931 è evidente in ogni aspetto di “Hugo Cabret”, dai costumi, ai set, all’arredamento e allo stile. La colonna sonora di Howard Shore è una lettera d’amore, sia alla cultura francese degli anni ’30 sia alle strabilianti invenzioni cinematografiche di quei giorni.  La musica di Shore è eseguita  da due orchestre –una contenuta nell’altra, per creare una stratificazione della tavolozza musicale. All’interno di un’ orchestra sinfonica completa risiede un ensemble più piccolo, una sorta di piccola banda francese che comprende strumenti tipici quali  leonde Martenot, la musette (la cornamusa francese), il cimbalom, la pianola, la chitarra classica, il contrabasso, la batteria (degli anni ’30) e l’alto sassofono.  “Volevo abbinare la profondità del suono con la profondità dell’immagine – un connubio di luce e suono”, dice Shore.

Scelta del cast

Il punto da cui Martin Scorsese è partito quando si è trovato a dover scegliere il cast si evince da quello che ha detto in una delle interviste che ha fatto per presentare il film: “Ho scelto attori inglesi, per essere coerenti con la storia, in cui l’accento  inglese è più pertinente al mondo che raccontiamo. Anche se la storia è ambientata a Parigi nel 1931, si tratta di una versione  accentuata di quel luogo e quel tempo”.
La cosa più difficile è stata individuare il protagonista.   Insieme alla direttrice del casting Ellen Lewis sono stati valutati molti giovani attori, fra cui  Asa Butterfield.  Scorsese ricorda: “Quando si è presentato al provino, ha letto due scene e mi ha subito convinto. Ma prima di prendere la decisione definitiva, ho visto il film in cui aveva recitato, ‘Il ragazzo con il pigiama a righe’.  Anche l’attrice Vera Farmiga, con cui ho lavorato in ‘The Departed’, ha recitato in quel film; mi ha parlato di Asa e mi ha confermato che è davvero bravissimo”.
Quando si è presentata per il ruolo di Isabelle  l’attrice americana Chloë Grace Moretz ha adottato un piccolo trucco.  Scorsese racconta il suo provino:  “Ho incontrato diverse giovani attrici inglesi.  A un certo punto è arrivata Chloë, che parlava con l’accento britannico, così ho pensato che anche lei fosse inglese! Poi gli attori hanno iniziato a leggere le loro parti insieme, ed Asa e Chloë erano molto ben assortiti. Quando abbiamo provato altri due attori, il nuovo abbinamento non funzionava.  Asa e Chloe erano perfetti anche dal punto di vista della recitazione. Le loro personalità, pur essendo molto diverse, interagiscono bene insieme”.
Sul fronte ambientazione Scorsese dichiara: “Nel film non viene mai segnalato che ci troviamo nel 1931.  Ma questo non ha importanza perché quello che sono i bambini, ciò di cui hanno bisogno, quello che cercano, come si comportano, è universale, contemporaneo, non è legato ad uno spazio e a un tempo specifici.  I bambini si comportano semplicemente come bambini”.
Mentre per scegliere chi avrebbe interpretato l’importantissimo ruolo di Méliès Scorsese dice “Ho sempre desiderato lavorare con Ben Kingsley e alla fine ho fatto con lui due film: ‘Shutter Island’— in cui abbiamo collaborato benissimo insieme – e ora questo.  E’ un attore straordinario, fra i più grandi, non c’è neanche bisogno di dirlo … il suo lavoro parla da sé.  La sua versatilità è nota.  E quando ho visto l’immagine di Georges Méliès, non avevo dubbi che il suo look sarebbe stato perfetto per Ben”.
A parte il look, la cosa più importante per Kingsley era la fisicità di quest’uomo in declino.  Scorsese è rimasto colpito dalla raffinata tecnica dell’attore:  “Ben ha elaborato una maniera di muoversi che esprime il senso della sconfitta… ha assunto una postura abbattuta.  Questo accade dopo che l’uomo è stato così vivo, dopo che ha fatto 500 film, tre film a settimana, magici spettacoli serali e riprese cinematografiche di giorno. Méliès ha creato una forma d’arte completamente nuova e improvvisamente ha perso tutti i suoi soldi, deve bruciare tutto il suo lavoro e finisce dietro il bancone di un negozio di giocattoli  in un angolo nascosto di Gare Montparnasse.”
Kingsley, nello svolgere le sue ricerche per impersonare Méliès, ha sviluppato una grande ammirazione per quest’uomo, al di là del suo talento visionario nel cinema.  L’attore spiega: “Georges
aveva la disinvoltura e il carisma di un grande mago del palcoscenico. Era molto preciso nell’esecuzione dei suoi trucchi: segare le persone in due, farle levitare, scomparire e compiere giochi di prestigio con le mani.  La sua precisione era contagiosa.  Per poter realizzare  centinaia di film c’era senza dubbio bisogno di molta disciplina.  Era un leader esigente, ma lo faceva con affetto. Raramente perdeva la pazienza e alzava la voce. Suggeriva sempre con gentilezza alle persone cosa dovevano fare, ricordando loro cosa gli aveva detto all’inizio. Che uomo deve essere stato!”

Méliès e Ben Kingsley
“Nei miei DVD dei film di Méliès c’è l’immagine di Méliès in copertina”, dice Scorsese.  “Un giorno sul set, due dei bambini del film, di circa 12 anni, hanno visto i DVD e pensavano che l’uomo dell’immagine fosse Ben Kingsley. Gli ho detto che si trattava di Méliès, e loro mi hanno chiesto:  ‘Quindi esisteva davvero?’
Georges Méliès non è stato il primo a fare film – quest’onore appartiene ai fratelli Auguste e Louis Lumière (come non ricordare il celeberrimo “L’Arrivée d’un train á La Ciotat” (L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat) che fece letteralmente sobbalzare gli spettatori sulle poltrone del cinema,  quando videro un grande treno a vapore correre sullo schermo verso di loro).  I due fratelli fossero convinti che la loro invenzione sarebbe stata una moda passeggera.
Georges Méliès la pensava diversamente. Disinteressato all’attività di famiglia di fabbricanti di scarpe, Méliès vendette la fabbrica usando i proventi per lanciarsi in una nuova professione: la magia.  Comprò un teatro (appartenuto in precedenza al suo mentore Jean-Eugène Robert-Houdin, il mago che ispirò il giovane  Ehrich Weiss a cambiare il suo nome in Harry Houdini) e iniziò ad esibirsi.
Vide il suo primo film all’età di 34 anni, e secondo lui questa nuova forma d’arte possedeva la magia che tanto amava.  Costruì le sue prime macchine da presa e proiettori con l’aiuto di R.W. Paul, spesso riciclando parti meccaniche degli automi utilizzati da Robert-Houdin.  I suoi primi film ricreavano le sue performance teatrali.  Ma presto iniziò ad elaborare la narrazione e le tecniche di montaggio, dando vita ad alcuni primissimi  “effetti speciali”, che comprendono la stop motion, la fotografia ‘invecchiata’, esposizioni multiple, dissolvenze e colori dipinti a mano.  In seguito vendette il teatro e costruì il suo studio, con un palco interamente fatto di vetro (per sfruttare al massimo l’illuminazione) al suo centro.
“La cosa straordinaria di Méliès”, dice Scorsese, “è il fatto che abbia esplorato e inventato la maggior parte di tutto ciò che ancora viene fatto al cinema.  C’è una linea diretta dai film fantasy e di fantascienza degli anni ‘30, ‘40 e ’50 al lavoro di HarryhausenSpielbergLucasJames Cameron.  C’è già tutto.  Méliès aveva già fatto tutto quello che oggi viene realizzato con il computer, lo schermo verde e il digitale, la differenza è che lo faceva nella sua cinepresa, nel suo studio”.
Il suo capolavoro,  “Le voyage dans la lune” (Viaggio nella luna) è stato girato nel 1902. Nel 1914 aveva realizzato oltre 500 film, con soggetti che vanno dalla ‘realtà’ (in cui vengono ricreati eventi di attualità) al fantasy/fantascientifico (da “La royaume des fées” a “Voyage à travers l’impossible”), che duravano da 1 a 40 minuti.
Dopo lo scoppio della Grande Guerra Méliès non riuscì più a mantenere la professione e alla fine abbandonò il suo studio, bruciò i set e i costumi e vendette tutte le copie dei suoi film.
Per poter sostenere se stesso, la sua seconda moglie e sua nipote, Méliès, negli anni ’20,  lavorò in un negozio di giocattoli in una delle stazioni centrali di Parigi, Gare Montparnasse.  Fu dimenticato fino a quando la comunità artistica dei surrealisti francesi non ‘riscoprì’ il suo lavoro, colpita dalla qualità visionaria delle sue opere.  Un rinnovato interesse nei suoi confronti diede vita ad un galà parigino in cui, con Méliès come ospite d’onore, furono proiettati molti dei suoi film. Stava persino lavorando ad un nuovo film,  quando morì, nel 1938.
Scorsese dice: “La prima volta in cui ho letto il libro, non mi ero reso conto che il signore del negozio di giocattoli era in realtà proprio Georges Méliès.  E’ una storia vera. Non aveva un quattrino e finì a lavorare in questo negozio a Gare Montparnasse, dove rimase per 16 anni”.

La Parigi di Scorsese
Al fine di ricreare la Parigi degli anni 30 Scorsese voleva arrivare ad “un equilibrio tra mito e realtà”. La ricercatrice Marianne Bower ha conferito autenticità al film, aiutata dalle fotografie dell’epoca, dai documenti e dai film di quel tempo, restringendo il suo campo di ricerca al periodo che va dal 1925 al 1931.
La troupe tecnica del film ha visto 180 film di Méliès, le pellicole di René Clair e Carol Reed, il cinema dell’avanguardia degli anni ‘20 e ‘30, i film dei fratelli Lumière e i film muti degli anni ’20 per studiare le tonalità e le sfumature cromatiche dell’epoca; inoltre hanno studiato anche le fotografie di Brassaï per poter riprodurre il look delle strade parigine,  l’aspetto e il comportamento degli attori secondari che compaiono nel film.
La maggior parte del film è stato girata presso gli Shepperton Studios, in Inghilterra, dove Dante Ferretti ha supervisionato la costruzione del mondo di Hugo, che comprende una stazione a grandezza  naturale con tutti i suoi negozi, l’intero edificio in cui vive  Méliès, il suo studio di vetro, una struttura bombardata a fianco, il negozio di vini all’angolo con tutta la mercanzia, ed un enorme cimitero con le tombe di pietra e grandi monumenti.

Anche la costumista Sandy Powell ha svolto ricerche nel passato per raccogliere informazioni e trovare l’ispirazione, ma ha giocato anche con l’idea lanciata da Scorsese di scoprire ‘l’impressione di Parigi’.  Nel film appaiono abiti vintage utilizzati come riferimento, ma quando sono stati indossati dagli attori sono stati ritoccati e persino rifatti.
Powell ha trovato la caratteristica maglia a strisce indossata da Hugo, e ne ha fatte fare alcune copie (erano necessari diversi set di costumi identici per i personaggi che non cambiano quasi mai abito nel corso del film). Quando Helen McCrory appare nell’immagine di una costellazione, in uno dei film di Méliès, indossa la gonna di un vecchio abito degli anni ’40 o ‘50, che insieme ad un corpetto, è stato trasformato nel costume vaporoso adatto ad una stella. I costumi di  Kingsley nel ruolo di Méliès sono stati direttamente riprodotti dalle fotografie, ed imbottiti non solo per conferire all’attore una silhouette curva ma anche per ricordargli di non assumere una posizione troppo eretta.
Ma la storia non ha sempre avuto il sopravvento nella scelta dei costumi: al posto dell’uniforme verde bottiglia dell’ispettore ferroviario, Powell ha preferito il colore turchese.

L’eredità di George
Per Ben Kingsley l’importanza del ruolo che ha avuto la fortuna di interpretare in Hugo Cabret non risiede solo nell’aver fatto rivivere il padre della cinematografia narrativa, ma afferma: “I personaggi sono molto ricchi e gli attori li hanno interpretati con la gioia e lo stupore tipici di un film animato.  E Martin ha usato tutte le naturali eccentricità ed energie di ogni singolo attore ottenendo un effetto magnifico. Il film è misterioso, commovente, spiritoso.  Il set è splendido; i giocattoli del mio negozio sono bellissimi. I colori, il 3D… tutto è incredibilmente spettacolare e meraviglioso nel senso più letterale del termine”.
Da non sottovalutare nemmeno l’emozione dell’autore del romanzo che dichiara “Guardando il film, ora penso a quando da bambino disegnavo giorno e notte e penso a Martin Scorsese al cinema con suo padre e a Thelma Schoonmaker che è cresciuta ad Aruba e John Logan che ha visto Laurence Olivier a teatro nel ruolo di Amleto e a Dante Ferretti seduto nella torre di un orologio in Italia.  Mi stupisco del modo in cui i nostri destini si sono incrociati portandoci fin qui …  bambini di ogni parte del mondo, ormai cresciuti, che si sono ritrovati a fare un film insieme che parla di due bambini che vivono in una stazione ferroviaria di Parigi”.
Scorsese conclude: “In qualità di filmmaker, penso che tutto quello che si fa oggi al cinema è iniziato con Georges Méliès. E quando torno a guardare i suoi film originali, mi sento commosso ed ispirato perché ancora possiedono l’elettrizzante gusto della scoperta ad oltre 100 anni da quando furono realizzati; e perché sono le prime intense espressioni di una forma d’arte che adoro, a cui ho dedicato la maggior parte della mia vita”. (UMBERTO PARLAGRECO)

 

 

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