KUBRICK: GUERRA E RETORICA

Proiettato per tre giorni in alcune sale italiane “Fear and Desire”, il primo film inedito di Kubrick. Ci sono artisti che stravolgono il mondo al loro primo tentativo di creare, comunicare ed esprimere qualcosa. Artisti che alla loro prima prova creano un legame indissolubile col pubblico e conquistano la critica, guadagnandosi un affetto e un’immagine di perfezione che tenteranno di eguagliare per il resto della loro vita, spesso senza riuscirci. E poi ci sono artisti che arrivano al loro apice dopo svariati tentativi ed esercizi, facendo un percorso umano e confuso prima di trovare la loro strada e produrre dei capolavori indiscussi. Probabilmente è quest’ultimo il caso di Kubrick, che ben prima di regalare al mondo film di culto che hanno segnato intere generazioni, tra cui spiccano “Arancia Meccanica”, “2001: Odissea nello Spazio” e “Shining”, dirige e produce il suo primo lungometraggio: “Fear and Desire”, Paura e Desiderio. Il tema scelto per questi 68 minuti in bianco e nero è la guerra, o meglio ancora gli effetti di una guerra immaginaria sull’uomo comune, costretto a combattere e a confrontarsi con la violenza e l’istinto alla sopravvivenza, che lo porta, non per ideali quanto per spirito di autoconservazione, a commettere atti immondi e disumani. Il tentativo dichiarato di rendere il film didascalico, allegorico e introspettivo rende facile rintracciare la volontà del regista nel montaggio dinamico ma molto confuso e quasi irritante per lo spettatore, specie perché associato a dialoghi quasi costantemente fuori campo e ad una pioggia di commenti, monologhi e riflessioni in voice over che ricordano più un documentario che un prodotto concepito per l’intrattenimento. I personaggi sono appena abbozzati, connotati più dalle lunghissime riprese dei loro volti e di una mimica facciale grottesca che dai loro profili psicologici. L’interpretazione degli attori, già goffa, approssimativa e caricaturale, risente anche di questo tratteggio incompleto e frettoloso. Insomma, non c’è da meravigliarsi che Kubrick abbia tenuto nascosto questa pellicola dal 1952, anno della sua realizzazione, alla sua morte, e anche i suoi eredi, nel rispetto reverenziale di un genio che doveva ancora esplodere l’abbiano reso pubblico con riluttanza solo dopo averne concesso il restauro alla Library of Congress, nel 2008. Va tuttavia riconosciuto a questo piccolo esperimento, nonostante l’apparenza da esercizio di uno studente di cinema nel pieno della sua adolescenza, il suo valore di tappa necessaria nella costruzione di un gusto estetico che ha portato il regista a delineare uno stile talmente riconoscibile e innovativo da essere diventato di diritto un fondamento della storia del cinema. (Martina Morabito)

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