32 ANNI DALLA MORTE DI DALLA CHIESA, DALLA LOTTA AL TERRORISMO AI TRAGICI 100 GIORNI IN SICILIA

Era il 3 settembre del 1982 quando il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fu tragicamente ucciso dai sicari di Cosa Nostra con la giovane moglie Emanuela Setti Carraro, sposata da quasi due mesi. Esattamente 32 anni fa perse la vita un uomo che, prestando alto servizio allo Stato italiano, dimostrò il coraggio e la forza di lottare contro uno dei peggiori mali del mondo: la mafia.

Riconosciuto per il suo metodo d’indagine peculiare che, attraverso infiltrazioni, chiacchiere, riusciva a reperire informazioni importanti e scrupolose circa il caso in questione, trascorse un primo periodo in Sicilia, in cui stilò il dossier dei 114: un documento dove, per la prima volta, comparirono i nomi di Buscetta, Leggio, Greco, mafiosi che stavano lentamente trasformando la società e l’economia mafiosa. Per loro Dalla Chiesa dispose il confino nelle isole di Lampedusa, Linosa e Asinara.

DALLA CHIESA: UN INTRECCIO DI SEGRETI LUNGO TRENT'ANNI / SPECIALE
La A112 bianca crivellata a colpi di Kalashnikov

Poi l’impegno per la lotta al terrorismo, in particolare contro le Brigate Rosse e la ricerca degli assassini di Moro, sancito dall’arresto di Patrizio Peci.

Dopo l’omicidio di Pio La Torre, Dalla Chiesa venne nominato Prefetto in Sicilia. Era il 1982, il tragico anno in cui Cosa Nostra avrebbe disposto “l’operazione Carlo Alberto”. Cento giorni esatti di lamentele della disorganizzazione politica e dell’indifferenza statale, l’aver mandato un generale “in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del Prefetto di Forlì”, le indagini scrupolose che mostravano una nuova gestione delle famiglie mafiose, condussero alla morte della speranza, quella speranza che nasce dalla lotta e che viene tranciata alle soglie della notte, nella notte in cui allo stesso tempo perdono vita tutti “i palermitani onesti”, di quella Palermo così incantevole e beffarda, che nasconde il marcio di uomini disonesti.

Per la strage di via Carini, in cui morì anche l’agente di scorta Domenico Russo, furono condannati all’ergastolo i boss Riina, Provenzano, Greco, Calò, Brusca e Geraci. Ed è proprio dalla voce di Riina che, intercettato il 29 agosto del 2013, in una conversazione con il compagno di ora d’aria, Alberto Lorusso, sembra trovar conferma una verità da sempre declamata dalla famiglia Dalla Chiesa, ovvero lo svuotamento della cassaforte di villa Pajino ad opera delle forze mafiose, al cui interno erano custoditi documenti molto importanti che potrebbero far luce sulle trattative stato-mafia. Una verità amara, che si ripresenta ancora dopo 32 anni e che pare non abbia chiuso ancora i conti. (CLARISSA COMUNALE)

 

 

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