La notte di Orione, un salto temporale nell’inaccessibile Messina sotterranea

Pagani per pagani, meglio quelli nostrani. L’amministrazione Accorinti fa il verso alla tradizione anglo celtica di Halloween e sfodera la “Notte d’Orione”, lodevole iniziativa sui beni e le cose di casa nostra.

La tradizione vuole che il gigante Orione sia tra i fondatori mitici della città di Messina, e a lui, infatti, i messinesi del XVI secolo intitolarono la bellissima fontana omonima, a Piazza Duomo.  Realizzata nel 1553 dallo scultore toscano Giovannangelo Montorsoli (Firenze, 1507 – 1563), l’opera monumentalizzò lo sforzo sovrumano della città impegnata nella costruzione del suo acquedotto moderno.

Il secolo buono per Messina inizia con la visita di Carlo V nel 1535 e finisce con la rivolta antispagnola del 1674. Di fatto, Il Rinascimento, arrivò in città con l’imperatore asburgico e i suoi capaci ingegneri militari che fecero piazza pulita delle marcite mura medievali per fare spazio a un’imponente sistema di fortificazioni, dai bastioni ciclopici a prova di cannone.

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Il corridoio sotterraneo

L’assetto urbano mutò radicalmente, i messinesi nella foga di fare e di cambiare cascarono completamente nel neoplatonismo allora di gran moda, pretendendo l’artista più neoplatonico di tutti, Michelangelo, e finendosi per accontentarsi di un validissimo allievo: il Montorsoli appunto.  A lui e alla sua bottega spetta la paternità della Fontana di Nettuno (1557) e della Lanterna del Faro (1555), ora nella zona falcata, e di molte altre.

Tuttavia una sorte ingrata, del tutto coerente con la storia anonima della città nell’ultimo secolo, relega queste opere a cornice decoro per cartoline. La Lanterna è segregata nella striscia di terra più progettata della storia e la Fontana di Nettuno è un bellissimo spartitraffico con giardinetti.

L’assessore Perna e i suoi provano a metterci una pezza e anche un poco d’acqua. Nell’unico monumento montorsoliano semi fruibile dalla comunità, la Fontana di Orione appunto,  ieri un momento di cultura e condivisione, addirittura commovente.

Ore 18.00, in netto ritardo sulla tabella di marcia, visita guidata al  suggestivo ambiente sottostante l’opera, con il classico accompagnamento erudito dell’inossidabile Nino Principato. Con la loquela incalzante che lo contraddistingue, l’architetto ha accolto i visitatori che a gruppi di dieci,  sotto lo sguardo vigile e cortese  della Protezione Civile,  si sono calati nella batola squadrata nel pavimento della fontana. Un salto nel tempo tra le pietre levigate dagli scalpellini messinesi che qui conclusero il loro faticoso acquedotto, iniziato alla fonte del torrente Camaro.

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l’epigrafe

Nel 1546 le acque irregolari della fiumara vennero convogliate insieme con quelle del torrente Bordonaro fino a Piazza Duomo dagli uomini di “Mastro Chico La Camiola” (Francesco La Cameola), come recita copia dell’epigrafe ritrovata a Bisconte nel 2002, didatticamente, e giustamente, appesa nell’ambiente aperto alle visite.  All’epoca a Messina l’acqua non c’era proprio. I nobili la tiravano su dai pozzi, i poveracci l’aspettavano dal cielo.

La costruzione dell’acquedotto, per volontà del Senato e sotto lo sguardo autocratico del viceré Juan de Vega (1507 – 1558), fu una vera rivoluzione di civile per la città che volle celebrarla con la fontana di Orione. Ancora oggi un cunicolo sotterraneo collega la fontana con le alture di Camaro. Tuttavia il cunicolo è bloccato da una frana. Sarebbe molto bello poterlo visitare regolarmente,  ma la Messina sotterranea è  chiusa e misteriosa quanto quella in superficie, tant’è che alle 21.20, quando l’acqua torna a zampillare sui marmi istoriati, la piazza ha un conato di meraviglia e commozione.

Origliando si ha l’impressione distinta che la fontana sia fuori dalla percezione e dalla fruizione dei messinesi che si esclamano di stupore di fronte ad un oggetto di cui poco sanno e che soprattutto non riconoscono. Purtroppo, la conformazione della piazza rende la sua fruizione del tutto inadeguata, una torta nuziale difesa dall’opportuno decoro del cancello, che tuttavia può essere superato. Un podio mobile e la possibilità di visite guidate notturne tornerebbero ad animare la fontana.

Mi spingo ancora più in là. Avrei gran piacere a cenare tra i fiumi e le formelle ovidiane del Montorsoli. Fruizione e tutela sono le uniche armi contro l’oblio che continua a rendere la fontana di Orione una grande torta nuziale marmorizzata. Apritela, vogliamo assaggiarla tutti i giorni. (Mosè Previti)

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