Bimbo rumeno acquistasi, 8 in carcere per un reato fantasma. Ecco perchè

Inchiesta di Michele Schinella– Ha spalancato le porte del carcere per la mamma “acquirente” e la mamma “venditrice” di un bambino rumeno di 9 anni, ma secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, citata dagli stessi magistrati che hanno ordinato gli arresti, l’accusa non sta in piedi. Si, proprio così. Infatti, per il massimo organo della giurisdizione, nel caso di compravendita di un bambino ai fini dell’adozione non sono ipotizzabili i gravissimi reati (puniti con la reclusione sino a 20 anni) che il 24 febbraio 2015 hanno portato in carcere due donne (oltre al marito complice della donna acquirente, al figlio maggiorenne di quella venditrice e ai quattro intermediari).

UNA STORIA …. FEMMINILE

Una, 48 anni, siciliana benestante residente in Svizzera, voleva realizzare a tutti i costi il sogno di avere un altro figlio, un’ossessione da un decennio. L’altra, 37 anni, rumena di un villaggio della città di Timisoara,  aveva la necessità di liberare se stessa e i suoi 13 figli e nipotini dalla miseria.

Lorella e Dumitra (nome di fantasia): due donne, due mamme. L’ordine degli arresti l’hanno firmato due Giudici per le indagini preliminari, entrambe donne, su richiesta di due donne, i sostituti della Procura di Messina Maria Pellegrino e Liliana Todaro. Per Lorella e Dumitra, l’accusa è Riduzione in schiavitù tentata, per i due pubblici ministeri e per il gip di Patti, Ines Rigoli; è invece di Acquisto e Alienazione di uno schiavo consumata, secondo la collega di Messina, Maria Militello. La pena prevista va comunque da 8 a 20 anni di galera.

Lo “schiavo” – secondo i magistrati – sarebbe il figlio di Dumitra, nove anni, divenuto secondo gli inquirenti merce di scambio, oggetto di una compravendita, mediata da tre signori “senza scrupoli”, per usare le parole dei giudici, che hanno spillato negli anni migliaia di euro.

Dalla sera del 24 febbraio, quando al porto di Messina i carabinieri hanno bloccato l’auto in cui viaggiava alla volta di Castell’Umberto in compagnia della mamma, del fratello e di due intermediari,  il bambino è stato affidato ad una comunità. Per il comandante provinciale dei carabinieri, Stefano Spagnol, “il bambino è adottabile”.

A Lorella è stato concesso di tornare a casa a Castell’Umberto, ma solo perché deve curare la figlia naturale di 19 anni, disabile dalla nascita. Dumitra, invece, è dietro le sbarre nel penitenziario catanese di Bicocca, lontana da 15 giorni anche dagli altri figli rimasti in Romania, una delle quali di 6 anni.

Con la stessa accusa, dietro le sbarre del penitenziario di Gazzi c’è ancora pure il figlio maggiorenne di Dumitra, il marito di Lorella, il cognato di quest’ultimo, Vincenzo Nibali, emissario dei coniugi acquirenti e i tre intermediari.

Eppure, a leggere e studiare le carte, ci sono molte cose che non tornano nell’inchiesta che ha affannato per giorni la stampa nazionale, attirata dalla conferenza stampa tenuta prima ancora che ci fosse il vaglio di un giudice. 

 

IN PUNTO DI DIRITTO … GIORNALISTICO

Il bambino rumeno veniva acquistato per farlo divenire uno schiavo?

La sola risposta a questa domanda (retorica) mette in crisi l’impianto accusatorio disegnato dai pm e avallato sia pure con dei piccoli distinguo dai due Gip.

Per dimostrarlo è necessaria una ricostruzione giornalisticamente pesante: chi scrive se ne rende conto. Per alleggerire la lettura basta dopo avere letto il capitolo “Cassazione a convenienza” saltare al capitolo “In Sintesi”

CASSAZIONE A CONVENIENZA

Sono i pm nel Decreto di fermo a sottolineare che si è trattato di compravendita uti filius, cioè al fine dell’adozione del bambino che sarebbe diventato figlio dei coniugi Conti Nibali con tutti i diritti.

Tuttavia, i due magistrati sostengono: “Non c’è dubbio ricorra il reato di cui all’articolo 600 codice penale, che per costante giurisprudenza si configura quando un bambino viene ceduto uti filius verso il pagamento di una somma di denaro”.

E citano, innanzitutto, una sentenza della Cassazione, la numero 39044 del 2004.

L’organo massimo della giurisdizione, però, occupandosi del caso di una donna straniera che in Italia aveva venduto il neonato dietro il pagamento di una somma di denaro uti filius dice cose esattamente opposte: “La cessione di neonato, uti filius, verso il pagamento di una somma di danaro o altra utilità, proprio perché non implicante il fine di lucro o di altra utilità,non può sussumersi – hanno stabilito i giudici con l’ermellino- nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 600 c.p.”

LA NORMA.

L’articolo 600 c.p. punisce come Riduzione in Schiavitù “Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi”.

La stessa norma precisa le modalità con cui si realizza la condizione di schiavitù: “La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona”

LA PRECISAZIONE DEGLI ERMELLINI.

I giudici della Cassazione nella sentenza 39044 del 2004  hanno motivato: “Perché ricorra il reato dell’articolo 600 è necessario che l’esercizio su una persona di poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà sia finalizzato a trarre poi un’utilità dalla stessa persona, come accade quando l’essere umano viene usato per accattonaggio, prostituzione, per rubare, per l’espianto di organi”.

L’INSISTENZA.

I due pm Todaro e Pellegrino a sostegno della loro tesi poi riportano (tra virgolette) il principio di altre due sentenze della Cassazione.

La prima, la numero 35923 del 2010. “Integra il delitto di riduzione in schiavitù la condotta di coloro che considerandolo alla stregua di una cosa che possa essere oggetto di scambio commerciale, acquistino il minore previa corresponsione di un prezzo dai genitori”, trascrivono i pm.

Un cambio di orientamento rispetto al 2004 e quindi il sigillo alla tesi dei pm? Non proprio.

Basta leggere la motivazione, infatti, per comprendere che la compravendita oggetto della sentenza citata riguardava una minore che non era stata venduta uti filius. Si trattava invece di una minore, come si legge in un passo della pronuncia, “Ridotta in stato di schiavitù perché si trovava in stato di soggezione e costretta a rubare per portare a casa giornalmente ed obbligatoriamente la refurtiva” che era stata ceduta ad altra famiglia  “perché continuasse a svolgere in condizione di assoggettamento lo stesso lavoro”.

Circostanza questa (omessa dai pm) ma determinante perché conferma il principio sancito dalla Cassazione nel 2004 e smentisce l’impianto accusatorio.

LA PERVICACIA

Ancora, i due pm sempre nel decreto di fermo riportano il principio sancito da un’altra sentenza della Cassazione ancora più recente, la numero 10784 del 2012: “Integra il delitto di riduzione in schiavitù colui che proceda alla vendita ad altri di un essere umano, atteso che in tal modo egli esercita sullo stesso un potere corrispondente al diritto di proprietà”. Riassunta così, la sentenza della Cassazione sembrerebbe dare ragione ai pm. Ma anche in questo caso la lettura della stessa consente di comprendere che in realtà la vendita aveva ad oggetto una donna che per motivi di salute era in condizione di particolare debolezza e il suo aguzzino l’aveva venduta perché esercitasse la prostituzione. Non risultando idonea fu pure restituita. Dunque, un’altra conferma al principio sancito dalla Cassazione nel 2004; indirettamente, un’altra smentita della ricostruzione dei pm.

 

LA TESI DEI GIP

Alla tesi dei due sostituti ha aderito perfettamente (“Non sussistono margini di dubbio”, ha scritto), con tanto di citazione delle sentenze della Cassazione che la smentiscono, il Gip di Patti, Rigoli, che il 28 gennaio 2015 ha convalidato il fermo e disposto gli arresti di Lorella e del marito Calogero Conti Nibali.

ll giorno prima  il Gip di Messina, Militello, nel convalidare il carcere per la donna rumena e il figlio, ha corretto i due Pm per metterli d’accordo con la Cassazione, ma ha finito per porsi anch’ella in rotta di collisione con il massimo organo di giurisdizione: “Manca – ha scritto Maria Militello – il fine di sfruttare il bambino. Al caso del bambino si attaglia meglio il reato dell’articolo 602 cp”.

La norma evocata dal Gip, come Acquisto e Alienazione di schiavo, punisce “Chi acquista o aliena o cede una persona che si trova in una delle condizioni di cui all’articolo 600 c.p.”.

Per il Gip di Messina, però, “una delle condizioni” non è quella di essere schiavo o di essere venduto per diventarlo, ma quella di “essere il bambino minore e dunque in stato di inferiorità fisica e psichica”.

DURA LEX SED LEX

La Cassazione, però, sempre nella sentenza  39044 del 2004 con cui aveva deciso che nella vendita di un neonato non ricorresse la Riduzione in schiavitù aveva stabilito: “Le ragioni fin qui rappresentate escludono, di poi, ed a maggior ragione anche la configurabilità della ipotesi di cui all’art. 602 c.p. per la stessa non configurabilità della specifica condizione soggettiva della vittima”. Che è quella di chi, a seguire il ragionamento della Cassazione, già sottomesso e sfruttato, viene venduto per fare lo schiavo. Come nel caso del bambino usato per rubare e ceduto per continuare a farlo, trattato dalla sentenza della Cassazione numero 35923 del 2010.

IN SINTESI

Ricapitolando, la giurisprudenza della Cassazione è “costante”, per usare le parole dei sostituti Todaro e Pellegrino, ma nel dire cose esattamente opposte a quelle affermate dai due sostituti e avallati dai due gip.

Per la Cassazione, la vendita di una persona è Riduzione in schiavitù se la persona è venduta per compiere attività illecite vantaggiose per il compratore; L’Alienazione di uno schiavo c’è quando una persona già ridotta in schiavitù viene venduta ad altri per essere ancora sfruttata.

Nulla di questo ricorrere nel caso del bambino rumeno, oggetto del desiderio dei coniugi Conti Nibali ma solo ai fini dell’adozione.

La questione non è di pura lana caprina, perché se non fossero stati contestati reati così gravi la misura cautelare non poteva essere disposta. La legge stabilisce che per poter mettere in carcere un indagato prima della condanna definitiva è necessario si proceda per un reato punito nel minimo con 5 anni di reclusione.

 

NEL CARCERE DELLO STATO SBAGLIATO….

Ma sempre a seguire la Cassazione e il codice penale, il carcere per i due rumeni, appare ancora più azzardato.

Secondo il gip Militello il reato di Alienazione di schiavo si è consumato nel momento in cui è stato trovato l’accordo tra l’emissario e la donna: “La traditio (la consegna) del bambino non ha inciso sul reato già perfezionato”, ha scritto.

Se è così, allora il reato è stato commesso da cittadina rumena; è stato commesso in Romania e dunque in un paese straniero e ha come vittima un cittadino rumeno. Che c’azzecca lo Stato italiano? Ci azzecca secondo il codice penale, visto che la donna è stata arrestata in Italia. Ma a certe condizioni. La Cassazione (sentenza numero 215885 del 2000) proprio in un caso analogo ha stabilito che “Non è adottabile la misura cautelare in relazione ad una fattispecie delittuosa (nel caso specifico, di cui all’articolo 602 cp, proprio quello ipotizzato dalla Militello, ndr) che per essere in concreto punibile necessita della richiesta al ministro di Giustizia, trattandosi di reato commesso all’estero da cittadini stranieri in danno di stranieri”. Il motivo è semplice: quella che è una condotta penalmente rilevante in Italia, potrebbe essere lecita nel paese in cui è commessa.

Di questa richiesta al Ministro nell’ordinanza di arresto della mamma rumena e del figlio maggiorenne non c’è traccia.

 

SE IL REATO C’E’ COMUNQUE ….

Ma allora la condotta di chi acquista un bambino, lo vende o fa da sensale non è reato?  Certo che si. C’è innanzitutto la violazione della legge sull’adozione.

E’ sempre la Cassazione a indicare la fonte, sempre nella sentenza del 2004.

La legge sull’adozione del 1983 infatti, stabilisce: “Chiunque, per procurarsi denaro o altra utilità, in violazione delle disposizioni della presente legge, introduce nello Stato uno straniero minore di età perché sia definitivamente affidato a cittadini italiani è punito con la reclusione da uno a tre anni. La pena stabilita nel precedente comma si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo danaro o altra utilità a terzi, accolgono stranieri minori di età in illecito affidamento con carattere di definitività. Se il fatto è commesso dal genitore la condanna comporta la perdita della relativa potestà e l’apertura della procedura di adottabilità

Ma la donna rumena voleva davvero vendere o affidare definitivamente il proprio bambino ai coniugi Conti Nibali?

 

CERTEZZE E DUBBI

E’ un dato certo che quest’ultimi volessero darsi un figlio in maniera illegale: nel 2008 dichiarano grazie ad un certificato di assistenza al parto falso la nascita di un figlio mai nato, Carmelo Luca Conti Nibali; sborsano decine di migliaia di euro; sono più volte sul punto di dare a questo figlio virtuale un corpo reale.

Invece, la donna rumena prima di partire non ha chiesto né ha percepito un solo euro. Secondo quanto riferito (nel corso di telefonate intercettate) da Vito Calianno, il pugliese che ha fatto da intermediario (l’unico che ha parlato con la donna), ha  puntualizzato che il figlio lo avrebbe lasciato solo “se la famiglia è brava…. Se il bambino sta…. vediamo… due giornate… se non sta ce ne torniamo indietro”.

Ma a lume di logica e di buon senso, vista l’età del bambino, questa condizione si sarebbe mai potuta realizzare? In altre parole, può mai ritenere seriamente una mamma che un bambino di nove anni rimanga con delle persone che non ha mai visto lontano dai genitori e da tutti gli affetti?

CORSI E RICORSI 

A novembre del 2014, a Castell’Umberto arriva un bambino rumeno di 9 anni e la mamma di questi. Sono residenti a Messina e vengono reclutati grazie all’intercessione di tre messinesi, Maurizio Lucà, Sebastiano Russo e Bianca Capillo. I coniugi Conti Nibali versano ai 3 messinesi e alla rumena 30mila euro. La donna e il figlio rimangono qualche giorno nella villa di Castell’Umberto. I coniugi si convincono che è fatta. Con la foto del bambino rumeno si recano al Municipio per avere la carta di identità dando così un volto al bambino nato per finta il 18 gennaio del 2008. Ma dura poco. Mamma e bambino rumeni se ne tornano a Messina.

ALTERAZIONE DI STATO

Arrestati per un reato che seguendo la giurisprudenza della Cassazione non c’è, ai coniugi Conti Nibali l’aver scambiato l’anagrafe del comune di Castell’Umberto per una sala giochi potrebbe costare molto caro. Gli inquirenti hanno sequestrato la dichiarazione di assistenza al parto del 2008; hanno ricostruito il piano che c’era dietro (l’acquisto di un neonato) e stanno valutando la condotta di chi si è recato a farsi rilasciare la carta d’identità falsa nel 2014.

Vicende queste che nulla hanno a che fare con il bambino rumeno giunto il 24 febbraio 2015 in Sicilia, che a Castell’Umberto non ha mai messo piede.

Dietro l’angolo c’è la contestazione di reati pesanti, posti a tutela dei bambini e dell’ integrità familiare.

L’Alterazione di Stato civile commesso da chi “Chi nella formazione di un atto di nascita altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità” è punito con la reclusione da 5 a 15 anni.

Le False attestazioni ad un pubblico ufficiale di qualità proprie o di altri, commesso da “Chi dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”, è punito con pene da 2 a 6 anni di carcere.

 

L’OCCASIONE DELLE VITA

Dalla lettura delle intercettazioni emerge che Dumitra – entrata in contatto con Vito Caianno l’emissario a Timisoara del tortoriciano Franco Galati Rando in cerca di un bambino – coglie l’occasione per maturare un progetto più serio e concreto: lasciare la miseria e cercare un’esistenza migliore e poi in seguito portarsi gli altri figli dietro. Secondo quanto emerge infatti dalle trascrizioni, la donna da subito cerca di “attaccare bottone” con l’emissario a cui dice di “non essere innamorata del marito” e di essere “disponibile a stare con lui in Italia”. Manifesta l’intenzione di portarsi dietro pure un’altra bambina di 6 anni, affidando momentaneamente l’altra schiera di figli al padre e ai parenti, e di volere un lavoro in Italia. Alla fine con lei e il bambino “da portare in prova dai Conti Nibali”, in macchina insieme a Calianni e Galati Rando, che all’ultimo momento l’aveva raggiunto in Romania, parte il fratello maggiore, non per accompagnare la mamma nella consegna (in prova) del bambino ma per lavorare: sono gli stessi italiani che prospettano la possibilità che “lavori con i vitelli”.

IL FUNERALE TRUFFA.

I coniugi Conti Nibali erano pronti ad adottare il bambino rumeno, ormai quasi un ragazzo.. Ma la storia, divenuta un incubo, è iniziata perché avrebbero voluto adottare illegalmente un neonato. Come hanno ricostruito gli inquirenti, è sulla base dell’impegno di Tindaro Calderone di reperire un neonato che denunciano la nascita di Carmelo Luca. L’ìmpegno non è mantenuto.  “Il bambino è nato malato: è in un istituto”: è stata questa la spiegazione che hanno sempre dato ai compaesani nel periodo in cui dalla Svizzera tornavano a Castell’Umberto. Il bambino, per miracolo guarito, si è materializzato con il rilascio della carta di identità.  Ma quando qualche giorno dopo l’illusione è svanita, ecco che a qualcuno è venuta l’idea di chiudere per sempre l’incresciosa vicenda: “Si potrebbe organizzare il funerale di Carmelo Luca”. I dettagli sono raccontati il 15 dicembre dalla stessa Lorella ad una amica, alla quale parla di certificati di patologia terminale e di morte, rilasciati da medici che hanno chiesto 12mila euro.

LA RICERCA RIPRENDE.

Il funerale avrebbe posto fine all’incubo. Ma a Vincenzo Nibali, cognato dei coniugi (anch’egli in carcere) viene in mente di contattare Franco Galati Rando e Aldo Galati Rando: il primo incassa 30mila euro e il 17 gennaio 2015 da appuntamento per la consegna di un minore. Ma l’affare salta. I coniugi rivogliono indietro i soldi. Franco Galati Rando scompare. Va in Romania. Conosce Vito Calianno e gli affida l’incarico di trovare un bambino. Ricompare a febbraio 2015. Annuncia che l’operazione è andata in porto ed è sulla via del ritorno. L’attesa dei coniugi Conti Nibali diventa spasmodica. Il 24 febbraio 2015 però alla porta della loro casa bussano i carabinieri.

STUPITO

Tutti gli arrestati si sono sorpresi quando gli è stato contestato un reato così grave e le porte del carcere si sono aperte. Ma il più sorpreso di tutti è stato Vito Calianno. Il pugliese, tre figli che lo aspettavano a casa a Fasano, nell’interrogatorio ha ribadito ciò che aveva spiegato qualche ora prima dell’arresto ad un suo amico della Guardia di Finanza: “C’è una famiglia ricca, no, che vogliono adottare questo bambino, famiglia ricca, che stanno bene, perché non possono avere figli. Una volta che arriva in Italiail bambino deve fare una carta dal notaio… siccome dice io ti sto lasciando un bambino per affetto, per crescere, per adottare… e loro ti davano un aiuto”.

Ma quale doveva essere l’aiuto? Non soldi, immediatamente, per alleviare la miseria. Ma qualcosa che ha il sapore di una promessa da marinaio: “Gli fanno la casa, una casa di 20mila euro per aiutare e poi…. che questi non ne hanno casa… dormono tutti dentro una camera… 13 bambini”, riferisce Calianno all’amico finanziere. (www.micheleschinella.it)

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