Giustizia: guerra per bande (di magistrati) a Messina?

Nei giorni scorsi – e compare sul sito ufficiale – l’Ordine degli Avvocati  ha tirato fuori la delibera 300 del 2016  sulla diffusione, a mezzo stampa, di notizie riservate.

“Da tempo – dicono gli avvocati messinesi- si assiste alla pubblicazione di notizie di stampa afferenti la mera sottoposizione ad indagine di cittadini, ancor prima che gli interessati vengano raggiunti dalla notifica della informazione di garanzia.

Il fenomeno, sintomatico di malcostume giudiziario e mediatico, ha – però – di recente assunto, e proprio con riferimento ad importanti inchieste svolte nella nostra città, caratteri di vera e propria illiceità.

E’ accaduto, infatti, non solo che imprenditori, appartenenti alle forze dell’ordine e persino alla avvocatura e alla magistratura, abbiano visto pubblicata sui giornali la notizia della loro iscrizione sul registro degli indagati, ma addirittura che due medici accusati di gravi reati, e un cospicuo numero di cittadini, tra cui alcuni consiglieri comunali, abbiano appreso dell’emissione di una misura cautelare carceraria nei loro confronti prima ancora che la misura venisse eseguita.

Quanto danno alla reputazione di tutti gli interessati possa arrecare una tale distorsione delle regole è superfluo rilevarlo; come è altrettanto facile intuire quanto potenziale danno alla genuinità ed efficacia delle indagini possa derivare dalla conoscenza delle medesime da parte di terzi (si pensi, ad esempio, al possibile inquinamento delle prove da parte di eventuali correi ancora non raggiunti da sospetti), o dalla previa conoscenza dell’emissione di una misura cautelare (alla cui esecuzione il destinatario, o un presunto correo, potrebbe tentare di sottrarsi).

Orbene, il ripetersi (in una vera e propria progressione, culminata negli episodi di pubblicazione preventiva di ben due misure cautelari ancora da eseguire) del fenomeno, nonostante la sua gravità, impone a questo Ordine Avvocati di Messina anche a seguito delle numerose segnalazioni pervenute – un fermo richiamo alle istituzioni ed a tutti gli operatori del mondo giudiziario (magistrati, avvocati, personale amministrativo, polizia giudiziaria) affinchè si adottino tutte le cautele necessarie a garantire l’effettivo rispetto di quello che – prima ancora che un obbligo di legge – rappresenta un diritto costituzionalmente garantito: il diritto alla riservatezza del c.d. “avviso” (rectius: informazione) di proroga di indagini e di garanzia, che trova una specifica e inequivoca disciplina, innanzitutto, nell’art. 111 della Costituzione, che, al terzo comma, prima parte, statuisce: “Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico”.

La Costituzione, dunque, impone alla legge di “assicurare” che il cittadino indagato venga posto a conoscenza dell’accusa nel più breve tempo possibile, e riservatamente. La legge assicura la realizzazione di dette esigenze (nonché quella di riservatezza delle indagini a tutela della loro genuinità) attraverso la previsione – contenuta nell’art. 369 cpp – dell’obbligo di inviare l’informazione (appunto di garanzia) non appena – e solo quando – debba compiersi un atto cui è prevista la partecipazione del difensore, e attraverso l’obbligo per il PM di inviare l’informazione di garanzia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno. Comunque, ed in ogni caso, ad evitare eventuali smagliature applicative, è previsto poi dall’art. 114 cpp un divieto di pubblicazione di atti del procedimento non solo quando sono ancora coperti da segreto, ma anche quando non lo siano più: e quindi anche quando non si siano ancora chiuse le indagini preliminari, e persino – con livelli di tutela differenti – anche quando il processo sia già in fase dibattimentale, ma non sia ancora stata emessa la sentenza di primo grado, e, per gli atti del fascicolo del PM, quella di appello. Tutte norme la cui violazione comporta l’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la previsione di cui all’art. 115 cpp, e penali, secondo quanto previsto dall’art. 684 c.p.. Ad evitare il perpetuarsi di una perniciosa assuefazione alla reiterata violazione di tutte le suindicate norme, la prima delle quali addirittura di rango costituzionale, questo consiglio reputa proprio dovere istituzionale richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità di riscoprire il senso più vero ed imprescindibile della “legalità”, che significa, prima di ogni altra cosa, “rispetto della legge”, nella convinzione che ogni vera “battaglia per la legalità” debba muovere dalla riscoperta e valorizzazione dei principi di legge e della loro ratio, e non dalla loro aperta violazione”.

Forte, pesante. E, soprattutto, appare un messaggio cifrato ad alcuni uffici della Procura, tesi a mettere a frutto qualche scatto in avanti. E a prendere posizione. Anche perché la Procura è di fatto orfana del suo capo: Lo Forte è a fine mandato e vede Firenze come procuratore generale. E gli aggiunti etnei Scaminaci e Ardita fanno paura. Avendo fatto saltare il banco… (@Gianfranco Pensavalli)

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