Via D’Amelio: il finto cordoglio di uno Stato deviato e la menzogna della Trattativa immaginaria…

Lo Stato e la mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.  (Paolo Borsellino)

Ventiquattro anni di ricordi e commemorazioni, di ipocrisie e di falsi storici; di non detti e di propaganda di cosiddetta antimafia. Ventiquattro anni fa un figlio andava a casa della madre; ventiquattro anni fa un magistrato e gli agenti della sua scorta venivano sacrificati sull’altare della Patria, una patria che non merita la lettera maiuscola, che non rende giustizia e verità, che immola e lascia soli, come soli sono stati i membri di quel pool fin troppo scomodo persino per i signori dei palazzi istituzionali da cui avrebbero dovuto trovare conforto e sostegno. Palazzi che, talvolta , ancora oggi, non sembrano poi così avvolgenti per chi abbia deciso di portare avanti una mission iniziata in Sicilia da quei tizi testardi e caparbi che le nuove generazioni chiamano eroi.

Come ogni anno, arrivano da ogni parte attestati, note e comunicati, piovono post e cinguettii di chiunque per ricordare quanto sia fondamentale tenere accesa la lampadina della memoria. Ma utile a chi? Per cosa? Un lavaggio di coscienza che si ripete ciclicamente e serve solo a dire “l’ho fatto, sono un bravo cittadino”? Si leggono in giro banalità assurde, spesso uscite dalle penne di chi appoggia o ha appoggiato sistemi governativi che col malaffare di ieri e oggi hanno banchettato senza porsi mica questioni etiche. E’ il professionismo dell’antimafia che nausea e fa perdere fiducia anche in chi ne meriterebbe un po’ di più.

borsellino lucia“Il semplice sospetto che uomini dello Stato abbiano potuto tradire un altro uomo dello Stato, e lo dico da figlia, mi fa vergognare”, con queste parole tremende Lucia Borsellino ha detto la sua alla commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi.

Mentre a Caltanissetta è in corso il quarto (quarto;…quarto!) procedimento relativo alle stragi di mafia, la figlia del giudice ucciso ha affermato: Quello che sta emergendo in questa fase processuale ci si deve interrogare sul fatto se veramente ci si possa fidare in toto delle istituzioni”. E ci si può fidare? Come, sapendo che nei giorni intercorsi tra la morte di Falcone e quella di Borsellino, proprio uomini dello Stato hanno “dialogato” con esponenti di Cosa Nostra? Come, essendo a conoscenza del fatto che sono stati compiuti depistaggi circa i quali non si comprende il movente? E i finti pentiti che hanno raccontato falsità autoaccusandosi di crimini non commessi? Perchè lo hanno fatto? Chi glielo ha chiesto? Dov’è la verità? Chi deve farla venire a galla? Lo stesso Stato che si è reso attore di una trattativa ancora negata?

A ventiquattro anni da quel 19 luglio tutto sembra sigillato sotto una sfera di vetro che ha lasciato intatto un passato al quale si guarda come un’epoca di lotte alla mafia, di anni in cui cavalier serventi hanno dato il là ad una crociata che, nei decenni, si è vinta. Non foss’altro che sotto il profilo morale: oggi esiste una cultura dell’antimafia. Oggi si rincorre la giustizia. Ma è davvero così? Vediamo davvero tutto quello che c’è all’interno di quella palla trasparente che custodisce la memoria che stiamo tramandando? Ne siamo certi? Quante bugie stiamo raccontando a noi stessi e ai nostri giovani? Quali verità stiamo facendo sopravvivere al tempo? Quale antimafia stiamo raccontando? Chi ha deciso quali vangeli far passare per validi e quali bollare come apocrifi stavolta?

E mentre c’è chi si fa bello al grido di una battaglia che non gli appartiene né apparterrà mai, ci sono le verità nascoste che continuano a strisciare tra le pagine di una storia che si vuol lasciare monca, sperando si sgonfi come una leggenda metropolitana.

Oggi Borsellino viene ricordato da molti, alcuni dei quali lo hanno conosciuto e ne hanno condiviso il percorso.

Piero_Grasso

E’ il caso del Presidente del Senato, Pietro Grasso che, sul suo profilo Facebook, scrive: Sapeva sempre trovare la forza e le ragioni per continuare nel proprio lavoro, anche quando i rischi connessi alla professione avevano lasciato spazio alla certezza che presto sarebbe stato ucciso. Il ricordo della sua inesauribile tenacia mi conforta quando la mente si concentra sui pezzi di verità che mancano per ricomporre la storia dietro la stagione delle stragi: ventiquattro anni diventano improvvisamente un tempo lunghissimo e doloroso, un fardello insopportabile che scuote la coscienza di tutti i cittadini che hanno a cuore il presente e il futuro del nostro Paese”.

E proprio quella stagione è un capitolo che si lega inevitabilmente a quello della Trattativa scomoda, quella che lo Stato -di cui il Presidente Grasso è parte integrante- vuol far sparire ogni traccia.

nino-di-matteoVia le intercettazioni, via i rimpalli tra un tribunale e l’altro, via i personaggi scomodi: lui, ad esempio, Nino Di Matteo che, dopo il Consiglio Superiore della Magistratura, si è visto dare un potente calcio nel sedere anche dal Tar del Lazio. Lui, che alla direzione nazionale antimafia non ci deve andare, punto e basta, sembra chiaro. Gli sono stati preferiti altri colleghi, questione di curricula. Touchè!

Trattativa che il tribunale di Firenze chiama formalmente “cosiddetta” e non presunta. Quindi possiamo ammettere finalmente che c’è stata? Del resto le condanne per la strage dei Georgofili si traducono in un’ammissione. Delle due una: o c’è stata o no.

Una vicenda che ha avuto le sue vittime e certamente i suoi vincitori ma, soprattutto, ha avuto dei protagonisti, uno dei quali scomparso appena qualche giorno fa: U Zu Binnu.

ingroiaDi Provenzano si è detto molto ma vale la pena riprendere le parole di chi in questa storia ha un ruolo fondamentale, l’ex pm Antonino Ingroia. “Ha sempre vissuto in bilico tra la Mafia e lo Stato, un equilibrista di grandi capacità nel vivere tra questi due mondi”. Un uomo del “doppio Stato”, lo definisce l’ex giudice ormai avvocato (tra gli altri anche della famiglia Manca) che, a lettera43, raccontava qualche giorno addietro dei tanti contatti con quel boss interrogato numerose volte prima di appendere al chiodo la toga.

C’erano stati dei segnali di apertura, provammo a parlargli, lui biascicò qualcosa, ma era già molto provato. In più in carcere accaddero cose strane. Cadde, si procurò un ematoma alla testa, ma c’era il sospetto che volessero zittirlo, che abbiano fatto di tutto per non farlo parlare”. Nonostante tutto, Provenzano non parlò mai, tenendo fino in fondo alto quel codice della mafia a cui apparteneva. Ma la verità, la sua verità, è andata, irraggiungibile, persa, per la felicità di qualcuno, certamente.

Le vittime innocenti della mafia, gli uomini e le donne delle forze dell’ordine caduti, le persone che facevano il tifo per Giovanni e Paolo ai tempi del maxiprocesso e che non hanno smesso di impegnarsi per la legalità chiedono a gran voce che sia fatta giustizia”, lo scrive Grasso stamattina sul suo wall. Ma chiederci quanta voglia ci sia davvero di arrivarci a sta benedetta verità è un lusso che vogliamo concederci. “Lo dobbiamo a ciascuno di loro, a noi stessi, alla memoria di Paolo e di chi ha perso la vita onorando il rischioso compito di proteggerlo”, prosegue il Presidente del Senato, e a queste parole non c’è, di fatto, nient’altro da fare che condividerle. Poi, a ciascuno le ulteriori considerazioni su chi, all’occorrenza, le proferisce.

Borsellino era un padre oltre che un magistrato, un figlio e un amico per molti, un simbolo e un eroe del nostro tempo che proprio da questo nostro tempo non trova ancora l’onore e la giustizia che lui tanto amava; in questa giornata a piangerlo e acclamarlo sono gli amici di ieri e gli ipocriti di oggi, sono i politici per bene che ne hanno condiviso la strada, la lotta o l’obiettivo, e anche quelli che per bene non sarebbero mai neanche se politici non fossero. Ma soprattutto -e al di là di ogni festa comandata e imposizione da calendario- a ricordarlo, ogni giorno, sono le persone, i giovani che vengono educati da famiglie e insegnanti che davvero credono di poter liberare la Sicilia traendo spunto dagli insegnamenti di chi ha votato la propria vita ad una causa così nobile ed altruista. Il saluto e l’abbraccio ideale di queste migliaia di ragazzi, di mamme e papà, di maestre ed educatori, è certamente più potente di ogni nota paracula venuta fuori da qualche leader che ne ha dato incarico al proprio ufficio stampa o ha sciorinato discorsi pubblici all’inaugurazione di una nuova e lucida lapide commemorativa, solo perché è doveroso dir qualcosa in giorni come questi.

Poi c’è lo Stato, quello che ha potere di vita e di morte sui suoi cittadini, quello che può insabbiare o trasformare le cose. C’è lo Stato che può secretare atti e verità: come avvenuto per anni con la Terra dei Fuochi, lasciando che i nostri bambini mangiassero pomodori cancerogeni e cadessero come mosche sotto il peso di tumori inguaribili, pur sapendo a quali rischi si andava incontro. Questo è lo Stato: lo è ogni giorno e lo è anche oggi, ventiquattro anni dopo una strage che, nessuno di noi sarebbe sorpreso nello scoprire, che potrebbe aver contribuito a mettere in piedi. Uno Stato retto fino a poco tempo fa da chi addirittura secondo il fratello di Paolo, sarebbe stato garante di questa trattativa per ben vent’anni (il Presidente della Repubblica emerito, Giorgio Napolitano). Una trattativa sulla quale, forse, proprio lo stesso Borsellino aveva iniziato a volerci vedere chiaro e, se fosse confermato, non sarebbe così assurdo pensare che proprio in nome di questa sia stato ucciso il giudice di Palermo.

Lo chiamano “deviato” ma sempre Stato è! 

@EleonoraUrzìMondo

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it