23 maggio, e dopo 25 anni ancora “inCapaci” di scrivere la verità

di Palmira Mancuso – Oggi non avrei voluto dirigere un giornale. Perchè “se la gente sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita” diceva il Suonatore Jones. E oggi mi tocca dare uno spazio degno ad un anniversario tondo, uno di quegli eventi che hanno segnato diverse generazione, ma in particolare la mia. Quella che in piena adolescenza, quando cominci a voler dare un senso a parole come giustizia, libertà, umanità, si scontra con le bombe e il terrore.

Noi adolescenti di ieri abbiamo identificato con la mafia il mostro di potere e corruzione che quelli di oggi chiamiamo terrorismo. La stessa paura, di essere nel posto giusto al momento sbagliato, nel pensare che per logiche molto più grandi di noi e che non riusciremo mai a capire davvero oltre il complottismo, qualcuno usi la violenza per controllare migliaia di persone, per ostacolarne la crescita individuale e collettiva.

Non saltino sulla sedia gli esperti di mafia ne gli esperti di terrorismo: qui non si fanno analisi tecniche o parallelismi geopolitici. Parliamo solo di quello stato di impotenza, quel senso di inadeguatezza che si insinua quando con la ragione comprendiamo la necessità di non arrenderci dinanzi alle ingiuste morti, e con il cuore sentiamo il dolore delle vittime, fino a sentirci tali.

Ma dopo venticinque anni non possiamo più chiedere “cosa avete fatto” ma chiederci “cosa abbiamo fatto”, dando un senso al nostro quotidiano impegno, ciascuno dove è chiamato a compierlo.

Oggi è il giorno della letteratura e delle frasi ad effetto. Ma è anche il momento opportuno per ricordare che ci furono pure i barcellonesi coinvolti nell’azione (fu Giovanni Brusca, colui che azionò il telecomando, dinanzi al sostituto della direzione distrettuale antimafia di Messina Gianclaudio Mango, il 7 maggio del 1998, a fare chiarezza sulla partecipazione degli esponenti della mafia barcellonese e mistrettese all’attentato di Capaci: “I telecomandi utilizzati per la strage di Capaci mi vennero recapitati da Pietro Rampulla, tramite un’autocarro che trasportava una cavalla che Pippo Gullotti mi aveva regalato”. Il figlio del boss Bernardo, aggiunse, a ridimensionare la responsabilità di Pippo Gullotti, boss incontrastato di Barcellona tra il 1991 e il 1997, anno del suo arresto, condannato a trenta anni per l’omicidio di Beppe Alfano, il giornalista ucciso a Barcellona l’8 gennaio del 1993  – cit antimafiaduemila) e che ancora oggi leggiamo titoli come “Lo isolarono e ora battono le mani” (il fondo di Macaluso sul Dubbio).

Giovanni Falcone, la moglie, Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Pietro Schifani: li ricordiamo tutti come uomini e donne dello Stato che hanno difeso la giustizia, la democrazia, la libertà. Con loro ricordiamo tutti i caduti assassinati dalla mafia, i 36 sindacalisti, gli innocenti di Portella della Ginestra, magistrati, poliziotti, carabinieri, dirigenti politici, giornalisti.

Nell’attesa che non ci sia più bisogno di eroi.

 

 

 

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