Cuffaro torna voce influente della politica siciliana?

L'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro all'uscita dal carcere di Rebibbia, Roma, 13 dicembre 2015. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

di Palmira Mancuso – Dopo la condanna è tornato a essere voce influente della politica siciliana. Totò Cuffaro, armato del suo libro-memoriale scritto letteralmente “dalla cella”, torna ormai ad intrecciare la sua vicenda personale con la storia politica siciliana, e presenta il conto ad amici di ieri e nemici di circostanza.

A piccoli passi tra una presentazione in libreria ed una analisi, la sua presenza nel dibattito politico si fa sempre più frequente man mano che si avvicinano gli appuntamenti elettorali, in primis le amministrative di Palermo ormai alle porte e le Regionali. Senza dimenticare la sua ingombrante presenza al corso di aggiornamento per i giornalisti (da cui l’odg ha preso le distanze, quasi facendo capire che si è “imbucato”, salvo poi raccontare la propria storia nel corso dell’incontro su “Identità personale e diritto all’oblio (ex Carta di Milano)”).

Di certo Salvatore Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia condannato a sette anni (già scontati in carcere) per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e violazione del segreto istruttorio nell’ambito del processo “Talpe alla Dda”, non perde occasione per intervenire nel dibattito politico e c’è chi gli riconosce lo spazio per poter incidere sulle scelte elettorali, vista la sua innegabile influenza passata.

Così dopo aver detto la sua sulla candidatura di Nello Musumeci, tacciato di essere “troppo di destra per vincere le elezioni” e che ha dichiarato ai giornali che “il regista dell’operazione è Cuffaro. E gli altri gli sono andati dietro, supini”, in queste settimane nel mirino di Totò c’è il messinese Giampiero D’alia, accusato di aver perso la “memoria”.

giampiero_daliaUn “botta e risposta” tra ex compagni, che certo non giova al leader di “Centristi per l’Europa”. A “provocare” la reazione dell’ex presidente della Regione le dichiarazioni di D’alia che in una intervista a Repubblica, commentando i contenuti di un incontro tra il vice commissario Udc in Sicilia Ester Bonafede indagata per presunti illeciti in finanziamenti della Regione siciliana e Cuffaro finito nei brogliacci delle intercettazioni dell’inchiesta Anas della Procura di Firenze, dice: “Ho capito perché mi hanno messo alla porta all’Udc: il vecchio partito aveva deciso di farmi pagare la scelta nel 2011 di mollare il centrodestra e costruire un’alleanza col Pd”.

La replica di Cuffaro non si è fatta attendere: “L’ultima volta che mi sono interessato di D’Alia è stato quando, nel 2008, ero già stato condannato in primo grado, e da capolista al Senato ho fatto si che la Sicilia fosse l’unica regione dove l’Udc superasse il quorum ed eleggesse tre senatori tra cui lo stesso D’Alia che era dopo di me”. “Poi ho contribuito in maniera determinante a fare il gruppo al Senato insieme ad Andreotti e agli amici trentini e valdostani per far sì che D’Alia facesse il presidente del gruppo – aggiunge – Dopo il mio ingresso in carcere, di lui ho solo letto sui giornali: parlava del suo disgusto e della sua presa di distanza dal male che io ero diventato. Prendo atto della cattiva memoria di Gianpiero D’Alia – prosegue Cuffaro – per molto tempo sono stato buono, poi sono diventato cattivo. Cose che succedono”.

Di certo in queste cronache vi è molto della politica siciliana, di quei meccanismi del linguaggio per spiegare i quali vale il detto “Parrimi sòggira entennimi nora“: in questi rimandi alla memoria di trascorsi politici, di complicità elettorali, c’è chi vorrebbe dimenticare, chi non può e chi, avendo pagato i propri debiti con la giustizia, non accetterà di essere messo da parte, altrimenti ritenendosi (malgradotutto) nuovamente giustiziato.

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