L’anno vecchio è finito, cosa ci lascia questo 2017

di Palmira Mancuso – Ci corre l’obbligo (più mediatico che morale) di scrivere l’editoriale di fine anno. Ma a noi non piace fare bilanci, tantomeno vogliamo filosofeggiare come da consuetudini social. Ci limiteremo dunque ad alcune riflessioni a corredo dell’ottimo lavoro svolto dalla redazione (in particolare da Marina Pagliaro e Andrea Brancato) che hanno usato come chiave di lettura la “vostra”, ovvero le notizie più lette da voi, che siete di fatto i nostri “padroni”.

Tuttavia non possiamo prescindere da alcuni fatti che, sebbene non abbiano i “click” dalla loro parte, riteniamo importanti anche per il futuro che verrà. E sono tutti argomenti e notizie legate alla nostra idea di giornalismo, quello di prossimità, quello che per Sciascia era la vera opposizione alla omogeneità dell’informazione.

Le piccole storie che ci rendono più cittadini, le battaglie di cui vogliamo parlare come quella contro l’inceneritore a Pace del Mela, la voglia di riscatto di chi non si piega al racket come i giovani imprenditori di Monforte Marina, le manifestazioni di solidarietà piccole e grandi come Messina in Passerella, il grande evento politico del G7 e la visita memorabile del Dalai Lama, la lotta alla mafia che passa dalle operazioni come Beta, l’orgoglio sportivo di Nibali in corsa verso nuovi traguardi, le sfide di chi resta e lotta per avere maggiore spazio come per il Parco Aldo Moro o l’amarezza per chi se ne va come per il veloce trasferimento del procuratore Ardita.

La città di Messina, insomma, è viva. Anche culturalmente: coi suoi artisti, i musicisti, gli attori di ottimo livello. A dispetto della percezione che decenni di monopolio informativo hanno descritto. A noi l’immane compito di raccontarla, come facciamo dal 2011 su questo giornale, come faremo nell’anno che verrà e che ci porterà nuove elezioni, rese dei conti, primavere politiche e vecchie parole da rottamare. Senza presunzione, come voce libera e attenta alle altre, ma con lo sforzo di una visione glocal (come direbbero quelli bravi) che restituisca la centralità che ci spetta in una Europa che dialoga con i popoli del Mediterraneo.

Nel 2018 sarà bandita la paura: anche quella di sbagliare, purchè in buona fede.

Potremmo continuare, ma qualcuno ha già scritto molto meglio di noi un editoriale che val la pena leggere. E ringraziando chi in queste ore ce lo ha consegnato, alla stregua di un monito, eccolo:

“La Sicilia è difficile. Lacera persone e sentimenti e invade chi, per nascita o per scelta, si lega a lei. La Sicilia è difficile. La sua arretratezza sociale ed economica è una lunga distanza geografica e mentale che la spinge lontano dall’Europa. La Sicilia è crudele. Le atrocità della mafia sono un marchio d’orrore che tutti i siciliani si portano appresso come il numero impresso sulla carne degli ebrei dei lager. Non si può cancellare. La Sicilia è bellissima e dura col suo sole titanico e tirannico, la sua luce violenta, il suo mare che dipinge e colora l’aria e la rinfresca. Bellissima e morbida nelle sue lente sere odorose, ridondanti di brezze lievi e vestiti leggeri e di chiacchiere indolenti, di luci lungo le coste, di cibi sensuali. La Sicilia è scomoda, ma viverla è possibile con orgoglio antico e altero”.(L.Sciascia)

Insomma, con orgoglio antico e altero, noi continueremo a raccontarvela. A modo nostro, ma anche vostro.

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