Storia d’amore fra Messina e lo Stretto a bordo di “Zeus”, la feluca di Ganzirri

di Marina Pagliaro – Gli occhi di Pippo sono azzurri e più si specchiano nelle onde del mare più riflettono quel blu  assumendone le stesse sfumature cangianti con l’inclinazione della luce del sole. Dal ponte della sua feluca attende, scorge, spiega ed esplora ogni increspatura dello spazio tra Scilla e Cariddi che lui da sempre solca con la stessa passione e la stessa pazienza di “Zeus”, il nome del Dio con cui è stata battezzata la sua nave, nel segno della grandezza del primo Dio fra tutti gli dei.

Ha cominciato la ricerca del pesce spada, Re indiscusso di quel mare che unisce e collega la Sicilia al resto del mondo sin da quando era piccolo, e trepidava mentre suo nonno saliva quel ponte e voleva essere al posto suo, e ha proseguito paziente a imparare il mestiere  accompagnando poi il padre prima di diventare lui il padrone del ponte, su cui va l’unico dell’equipaggio ad avere la maestria dell’arpionare, nota a pochi eletti. Lui oggi è il capitano di una fra le più grandi feluche delle otto presenti a Messina. La storia di Pippo non è la semplice storia di chi del mare ha fatto il suo pane quotidiano ma è la storia d’amore e dell’appagante attesa per i doni che Dio e la Natura regalano a chi, come lui, sa ringraziare e sa, soprattutto, aspettare e ascoltare il rumore del mare e del vento.

La sua sfida quotidiana comincia alle 5 del mattino. Quando si alza ed è ancora buio ma, bevendo il suo caffè e guardando dalla sua finestra su Sant’Agata il mare, inizia a pensare alla giornata che lo aspetta e a valutare se tira un buon vento, salutando Dio e chiedendogli come ogni giorno che accompagni lui e il suo equipaggio nella battuta di pesca che lo aspetta. I suoi compagni di quel viaggio sempre nuovo che gli riempie gli occhi di futuro nonostante la sua età quando arriva sono già lì nella cala di Ganzirri che ospita e accoglie ogni estate Zeus. Lo stanno già aspettando e hanno già iniziato a preparare tutto il necessario per vivere la giornata all’insegna dell’ignoto che li attende: hanno lucidato le fiocine, posizionato i secchi con le cime e tutto il necessario per padroneggiare quegli attimi fugaci che daranno un senso alla caccia.

La loro forza non è l’unione ma la rigida suddivisione di ruoli rispettata da tutti e voluta da tutti affinché la perlustrazione della posta possa essere efficace. Oggi gli è toccata quella parte di mare che va dalla Chiesa di Grotte a Paradiso. Ieri, racconta Nicola, la feluca della famiglia di “Faro” è tornata con 4 pesci, quindi forse oggi andrà bene anche a loro. Quando i tre che perlustreranno dalla torre ogni movimento di pinna e guizzo d’acqua hanno risalito i 20 metri di torre posizionandosi alla cabina di comando, si può partire. Prima si arriva e meglio è. Perché la notte garantisce la pace al pesce spada che nella stagione dell’amore risale la superficie per sussurrare il suo canto silenzioso e afrodisiaco alle femmine, prima dell’accoppiamento. E così già le prime ore del mattino regalano 70 kg di felicità alla truppa, che non si emoziona, non esulta, perché sono tante le ore e tanti ancora i doni che oggi potrebbero portare a casa.

Si parla poco, si riflette e si medita, perlustrando ogni centimetro. Non è il silenzio del rilassamento ma il silenzio dell’astuzia e della concentrazione. Non puoi e non devi allontanarti dal tuo obiettivo: la pesca. In un gioco di sguardi, accelerazioni e scatti, il ritmo della feluca comunica a ciascun membro dell’equipaggio se dalla cabina di perlustrazione qualcosa si vede e si muove. “Eccolo! Eccolo! Pigghialu”, l’urlo che irrompe nella calma apparente, preludio di una brusca accelerata, una sterzata e una frenata improvvisa. Gesti che avvisano che è il momento di prepararsi a prendere il bottino. E poi è allora che Pippo si alza dal suo sedile in cima al ponte, prende la fiocina e con un solo movimento del braccio in pochi secondi blocca la sua preda. Scendono i due incaricati di “lavorarlo in mare” che avevano già preparato la “barcuzza” su cui sosteranno prima che la cattura vada a buon fine. Perché una volta che il pesce è stato bloccato tocca a loro, in un gioco di tira e molla con la cima, lottare sotto il sole con quel pesce che dentro l’acqua compie l’ultimo tentativo di sfuggire al suo destino. Aspettano che la preda decida di desistere consegnando la sua vita a quel predatore più forte che è l’uomo e contro cui a volte la natura deve soccombere.

Nel frattempo la feluca va via, festeggia il pesce appena pescato, con il nuovo giro di posta che ha tutto il sapore della speranza e della gioia perché l’uscita del giorno ha dato già il suo primo frutto e nella festa della grazia appena ricevuta si cavalcano le onde sperando in un nuovo colpo di fortuna. Trascorso il tempo necessario affinché il pesce sia stato sottomesso completamente ecco che torna la feluca alla piccola imbarcazione ferma nel punto in cui il pesce è stato catturato. Lì il travaso del gigante dello stretto ormai in agonia, ormai stanco. Man mano che la vita lo abbandona perde il suo colorito argenteo trasformandosi in nero. E prima che i pescatori lo proteggano dal sole e lo nascondano come un bottino sacro, è Pippo a fare “a cardata da cruci” sulla faccia del pesce per renderlo riconoscibile: quel pesce è stato pescato nello Stretto dopo aver eroicamente combattuto per salvare la sua vita. Ecco allora che prosegue il ritmo, sempre uguale e metodico, di quel solcare, scrutare e padroneggiare lo Stretto di una Feluca che adesso torna a essere silenziosa e pronta a giocarsi tutta la fortuna della giornata in pochi minuti.

Ogni volta che comincia una giornata non si può dire quale sarà il ritmo e cosa si racconterà tornando a chi nella cala aspetta il rientro di tutte le barche. Minuti di calma si susseguono a scariche di adrenalina ma non manca mai la concentrazione e la pazienza con tutta la fede che sì, il raccolto sarà buono e gli sforzi di attesa saranno ricompensati. E se non è oggi sarà domani. Alle 17 il giro dovrebbe finire. Ma l’equipaggio di Zeus continua fino alle 18.30, quando cominciano i primi rigattieri a chiedere come è andata la pesca. Quei pesce spada che sono frutto del lavoro di impegno e di attesa sono figli che Dio ha dato in dono a ognuno di loro. E forse negli sguardi di chi compra il frutto del loro sacrificio non c’è la piena comprensione di cosa voglia dire aver fede nel grande mistero della natura e della vita e perché ha senso ogni giorno fare una fatica immane sotto il sole che scotta nell’unione sacra e totale con il mare dello Stretto.

Messina, con la sua incapacità a valorizzare e proteggere le sue tradizioni più grandi e vere, sembra piccola da qui. Pochi chilometri distanziano la città dalla barca. Pochi ma sufficienti per riuscire a prendere aria dalle banalità del quotidiano e ritornare, con un giorno sulla feluca, alla messinesità vera che connota e differenzia ogni messinese del resto dei siciliani nella forza di un legame con il mare che va oltre l’adorazione e il semplice guardare una bellezza, ma che è invece sacra unione di vita e amore nella grazia di un Dio che dona e  che troppo spesso non è più ringraziato per la fortuna che ci ha reso nel regalarci lo Stretto.

Partecipa alla discussione. Commenta l'articolo su Messinaora.it