Lo Stretto Scomparso – Un racconto telegrafico nell’anniversario del terremoto del 1908

di Giuseppe Loteta – All’alba Pietro si affacciò al balcone. Il sole sorgeva dai monti calabresi e una prima luce si diffondeva sullo Stretto. Lo Stretto? Ma dove era finito? Pietro credeva di sognare. E l’acqua? E il mare? Niente, al loro posto un abisso frastagliato, dai contorni irregolari, con promontori che si alzavano fino a quella che era stata fino a poco tempo prima la superficie del mare, e profondità immense. Giù, in una valle circondata da guglie, Pietro credette di vedere muri, archi, forse anche palazzi e strade. Continuava a sognare? Ma no. Il fenomeno, del tutto incomprensibile, doveva essere avvenuto di notte, molte ore prima, perché gruppi di volontari già cercavano di penetrare con mezzi di fortuna il mistero di quella scomparsa.
Pietro decise subito. Si vestì, scese in strada, si unì agli esploratori. Corde, piccozze, scale, chiodi di montagna e tanta buona volontà. Tanto tempo. Alla fine si trovò davanti le costruzioni che aveva intravisto dal balcone. Costruzioni? Molto di più. Pietro non credeva ai suoi occhi. Ecco, quella era la Palazzata, quello il Municipio, quello il Nettuno che usciva dal mare e proteggeva la città. Quella la chiesa di San Gregorio, in alto, quello il palazzo di Mata e Grifone, quella via Primo Settembre con le sue quattro fontane, quella via Cardines. Incredibile. Messina, Messina prima del terremoto del 1908. Pietro entrò in città e cominciò a girare. Una meta precisa, la casa dei suoi nonni in via Sant’Agostino, dove tutta la famiglia era stata distrutta.
La trovò, alla fine. Tutto era come allora, come glie l’avevano raccontato. Entrò, si sedette sulla poltrona del nonno. E capi che non si sarebbe più mosso. Era finalmente a casa.

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