Secondo palazzo di giustizia, l’accesso agli atti chiesto da MessinAccomuna mostra che non esiste alcun progetto per Via La Farina

I documenti forniti dal Comune in risposta all’accesso civico attivato da alcuni cittadini aderenti a “messinAccomuna” non fanno chiarezza sulla vicenda del secondo Palagiustiza e sull’iter della localizzazione alternativa che sarebbe stata individuata dall’attuale Amministrazione.

Questa la conclusione a cui sono giunti i cittadini che hanno evidenziato quanto emerge dai  documenti che mostrano, contrariamente a quanto proclamato dal Sindaco De Luca, lo stato dell’arte. 

Ecco cosa sottolineano in un documento gli aderenti a MessinAccomuna, il laboratorio civico a cui partecipano molti membri della precedente amministrazione:

1)      Non esiste nessun progetto, neanche di primo livello, per la costruzione del palagiustizia al “fosso” di Via La Farina. Lo “studio preliminare” consegnato, infatti, non risponde ai requisiti di legge per essere considerato “progetto” e, inoltre, non è firmato, né datato, né trasmesso ufficialmente dall’Area Tecnica: nella forma in cui è stato reso è al massimo una bozza o un appunto di lavoro.

2)      Nessun procedimento è stato formalmente avviato dall’Amministrazione per la redazione di tale progetto. Con la delibera allegata (che appare contraddittoria e carente di motivazione) la Giunta ha solamente chiesto all’Area Tecnica un aggiornamento sullo “stato dell’arte” della progettazione presso l’Ospedale Militare e l’indicazione di eventuali siti alternativi, ma non ha attivato alcuna nuova progettazione.

3)      L’individuazione del “fosso” come alternativa all’Ospedale Militare non è supportata da valutazione comparativa e/o analisi costi-benefici che possa giustificarla (come richiesto dalla norma), e inoltre è molto più costosa della soluzione Ospedale Militare e NON è finanziata.

4)      Non risulta la nomina di un RUP (responsabile unico del provvedimento) o di un gruppo di progettazione a monte della redazione dello “studio preliminare” che, si ribadisce, non è firmato.

Siamo di fronte al tentativo dell’amministrazione in carica di sabotare un accordo istituzionale che dà risposta concreta e operativa a un grave e annoso problema per Messina. La carenza di motivazione e l’inesistenza di un percorso tecnico e amministrativo riconoscibile e tracciabile per l’individuazione di un sito alternativo evidenziano che, sulla base degli atti fino a questo momento posti in essere e resi disponibili, l’ipotesi cavalcata dall’amministrazione NON risponde a considerazioni di interesse pubblico.

La realizzazione del palagiustizia all’Ospedale Militare è frutto di un percorso di condivisione in sede locale che ha coinvolto le competenti sedi istituzionali centrali dello Stato. Il protocollo definito nel 2017 e 2018 ha individuato una sede ottimale in termini urbanistici, logistici, dimensionali: si tratta di un sito centrale, non distante da Palazzo Piacentini, raggiungibile dal territorio metropolitano, non impattante sul traffico urbano, dotato di ampi parcheggi e (trovandosi in area militare) di elevatissimi standard di sicurezza. Inoltre (e non è di poco conto) il progetto è interamente coperto dal finanziamento a suo tempo offerto dal Governo alla città di Messina. In pratica si utilizzano fondi pubblici per realizzare un’opera pubblica in fabbricati pubblici attualmente sottoutilizzati e si recupera l’uso di altri spazi pubblici attualmente dismessi. Il tutto senza espropri, “trattative”, o integrazioni di finanziamento e, anzi, con l’introduzione nella procedura di un già approvato protocollo di trasparenza e legalità.

Da cittadini ci poniamo alcune domande:

1)      Per quale ragione il Sindaco vuole sabotare un protocollo d’intesa precedente, senza averne particolare titolo, visto che l’accordo che coinvolge Demanio, Difesa e Giustizia è relativo a proprietà dello Stato (e non del Comune) su un finanziamento erogato dal Tesoro (e non dal Comune)? Evidenziamo che l’ipotesi formulata è molto più costosa, riguarda un’area che non consente l’edificazione dell’opera e investe una zona cittadina molto trafficata, data la prossimità immediata di molte scuole pubbliche e private, oltre che del centro commerciale cittadino. Le risposte fornite non presentano motivi di interesse pubblico per questa scelta.

2)      Bloccare il protocollo significa tornare indietro di almeno due anni. Per ripartire col “fosso” bisognerebbe, infatti, prima trovare 23 milioni su 40 (non si capisce dove, né perché il Comune dovrebbe sottrarli ad altre destinazioni possibili) e poi bandire una gara europea per la progettazione, dati i valori in gioco. Tempo perso e risorse bloccate o sottratte a danno della città. Perché?

3)      Nel frattempo chi ci guadagnerebbe? Sicuramente i proprietari degli immobili attualmente affittati per fini di giustizia, che vedrebbero prolungare la loro rendita.  Se il finanziamento dovesse essere ottenuto in project financing, l’effetto sarebbe che il privato (che investe oltre il 50%) dovrebbe rientrare dall’investimento. Come? Semplice: chiedendo un canone per il fitto dei locali. Anziché liberarci dall’emorragia di denaro pubblico (oltre un milione l’anno), la perpetueremmo sine die.

Alla luce di quanto accertato, si ritiene che il dovere del Sindaco sarebbe quello di procedere sulla strada già tracciata dai patti sottoscritti tra il Governo e il Comune nel 2017 e nel 2018, sollecitando le altre amministrazioni ad adempiere rapidamente ed efficacemente agli impegni assunti.    

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