Vangelo Ora: il miracolo di un grazie (video)

di Fra Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Luca
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Gesù ha un obiettivo salire a Gerusalemme per dare salvezza ad ogni uomo passando da un villaggio di samaritani, considerati scismatici, infedeli perché non appartenenti al popolo di Israele e quindi stranieri. Ed è proprio entrando in quel villaggio che incontra dei lebbrosi che come numero (dieci) rappresentano una comunità. È come se l’evangelista Luca ci volesse dire che in quel villaggio c’è racchiusa la nostra società con la sua lebbra: una brutta malattia da mille risvolti, sanitari, sociali, psicologici, religiosi, politici.

I lebbrosi si fermarono a distanza, come prescrive la legge, che spesso per difendere separa; abitiamo lo stesso mondo ma nella separazione, c’è una lebbra che ci tiene distanti che ha tanti nomi: emarginazione, povertà, siccità, fame, eresia, ideologia, razza, integralismo, sfruttamento, corruzione, guerra, emigrazione… Un elenco interminabile di situazioni, che se non vengono attenzionate per bene, l’egoismo, la paura e l’ignoranza rischiano di creare un abisso incolmabile, come quello tra il ricco epulone e Lazzaro, racconto di qualche domenica fa.

Ciò che fa riflettere è che i lebbrosi vedendo Gesù non gli chiedono nulla: niente denaro, niente guarigione, solo pietà: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». I lebbrosi chiamano Dio per nome, come ogni povero della terra anche loro gridano a Dio ed Egli li ascolta. Sembra che chi è cieco, lebbroso, colpito da ogni male, abbia il diritto di essere amico di Dio, di chiamarlo per nome: Gesù, un nome che salva.

La salvezza non è guarire dalla lebbra, ma incontrare chi ci ha guarito, la sete non si placa con un bicchiere d’acqua; bisogna trovare la sorgente.

Questi lebbrosi, non guariti subito, siamo noi tutti, chiamati ascoltare e ad obbedire alla Parola del Maestro che ci invita a percorrere la sua via verso Gerusalemme, passando attraverso le nostre infedeltà e percorrendo la monotonia della nostra quotidianità. Per seguire Cristo non bisogna essere santi, lui accoglie i peccatori: la salvezza non è condizione, ma conseguenza della sequela. È camminando nell’osservanza della Parola vissuta con opere di Amore, che avviene la guarigione e soprattutto la salvezza.

Guariti lungo la strada, si presentano dal sacerdote, adempiono a ciò che prescrive la legge. Però mi chiedo, perché cercano Gesù, per la guarigione? perché vogliono la certificazione di buona salute rilasciata nel tempio?

Una cosa è la religione con le sue regole che mettono ordine alla vita ed un’altra è il cammino di Fede che conduce alla salvezza.

Per strada quei dieci furono sanati…solo uno cerca la salvezza… il samaritano, l’infedele, l’emarginato… lo straniero. Quest’uomo samaritano, lebbroso, doppiamente escluso dalla società è capace di distogliere lo sguardo da se stesso per fissarlo su colui che l’ha guarito, non segue la massa, non si fa intrappolare da leggi umane, sa andare oltre. È capace di superare il bisogno legale, non ha paura di non essere come gli altri, di avere un’opinione diversa. Sente il bisogno di ringraziare quell’Uomo che riconosce come Signore.  Il vero miracolo sta proprio nel ringraziamento, nel fare Eucarestia.

Goethe diceva che “Quando incontriamo qualcuno che ci deve riconoscenza ce ne ricordiamo subito. Quante volte invece incontriamo qualcuno verso il quale abbiamo un debito di gratitudine e non ci pensiamo”.

Chiediamoci se siamo capaci di dire grazie per tutto ciò che abbiamo, per ciò che siamo, forse bisognerebbe rileggere la nostra vita e quella delle nostre comunità alla luce di questa pagina di Vangelo.  Il peccato più grande è l’ingratitudine nei confronti di Dio. Diamo tutto per scontato, tutto è preteso, impariamo a dire grazie.

Abbiamo bisogno di ritornare a dire grazie e il modo più bello e santo è l’Eucarestia per essere uomini nuovi, per dirgli semplicemente: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!» per poi riconoscerlo e ringraziarlo nei fratelli che camminano con noi, testimoniando la vera fede che non è fatta di parole ma di carezze di Dio che è Amore.

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Publiée par MessinaOra.it sur Samedi 12 octobre 2019

 

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