Italia-Germania: cinquant’anni fa la “Partita del secolo”

“Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato (91’ Poletti), Cera, Domenghini, Mazzola (46’ Rivera), Boninsegna, De Sisti, Riva”. Chiunque incontrerete oggi, di 60 anni o più, ma anche meno se siete più fortunati, saprebbe recitarvi questa formazione a memoria, come un mantra. I tredici sopracitati, però, non sono parole di una formula sacra induista, bensì di tredici ragazzi – pedatori da oratorio si sarebbe probabilmente detto ai tempi – che il commissario tecnico della spedizione italiana per i Mondiali di calcio in Messico del 1970, Ferruccio Valcareggi, impiegò per battere la Germania Ovest in semifinale, la corazzata teutonica di Maier, Schnellinger, Beckenbauer, Grabowski, Müller, favorita assieme al Brasile di Pelè per il titolo.

La partita, finita 4 a 3 per gli azzurri con ben cinque reti nei soli tempi supplementari, ma questa è cosa nota, si può definire senza dubbio alcuno epica come è vero che, ancora oggi, allo stadio “Azteca” di Città del Messico campeggia una targa commemorativa che recita “Partido del siglo” (Partita del secolo).
L’evento è stato seguito da milioni di spettatori in Italia, nonostante fosse notte inoltrata e per anni, ma anche oggi, fa parte della cultura sportiva del Paese. Tutti, come spesso accade, si ricordano dove e con chi erano i quella che era una tipica estate italiana degli anni 70 in cui il pallone univa tutto lo stivale.

L’incontro ha inizio alle ore 16:00, ora locale, di mercoledì 17 giugno sotto la direzione dell’arbitro messicano Arturo Yamasaki. In Italia è notte, ma il Paese veglia con gli azzurri. Di fronte a centomila spettatori Mazzola e Boninsegna danno il calcio. La partita si sblocca all’ottavo minuto: al termine di un rocambolesco rimpallo con Gigi RivaRoberto Boninsegna “Bonimba”, col sinistro batte il portiere Sepp Maier dal limite dell’area.

Per i seguenti ottanta minuti l’Italia gioca una partita completamente difensiva, cercando di arginare un vero e proprio assalto all’arma bianca da parte dei tedeschi. Albertosi, al minuto 89, salva il risultato deviando un pericoloso colpo di testa di Uwe Seeler, ma nulla può contro Karl-Heinz Schnellinger, al suo primo e unico gol in quarantasette partite con la nazionale tedesca, che porta la gara in parità due minuti e mezzo oltre i tempi regolamentari.
Iniziano così, tra lo sconforto degli azzurri, i tempi supplementari. Gli stessi che hanno consegnato la partita alla storia del gioco, con ben cinque gol in trenta minuti.
Al gol di Gerd Müller al 94′, abile a sfruttare un errato tocco della difesa italiana, risponde, come per contrappasso, un difensore azzurro, Tarcisio Burgnich, su un errore difensivo tedesco. L’Italia, un minuto prima della fine del primo tempo supplementare, passa addirittura in vantaggio, con uno straordinario assolo di Riva, in contropiede, un classico gol alla “Rombo di Tuono”. Al quinto minuto del secondo tempo supplementare, la Germania Ovest trova nuovamente il pareggio con Müller di testa.

Boninsegna, dopo un’intera gara giocata a 2240 metri d’altura con 50 gradi percepiti, ha ancora la forza di scattare sulla fascia e servire la palla al centro. Rivera, puntuale, di piatto supera Maier, e l’Italia è in finale. Riva, quasi incredulo, abbraccia il compagno di reparto in quella che per anni è stata la foto simbolo della nazionale azzurra. Sostituita, ma nemmeno troppo, forse solo dall’urlo “spagnolo” di Tardelli.

La telecronaca dell’incontro è affidata a Nando Martellini che, sfinito come i giocatori, la chiude così: “È stata dura metter sotto i tedeschi. Loro sono stati sempre superiori. Mi ricordo però che quel giorno avevamo una carica in più diversa dal solito. Eravamo spinti dall’entusiasmo della gente – confida al Sir Tarcisio Burgnich, autore della seconda rete azzurra -. Un entusiasmo che a distanza di 50 anni è ancora vivo tra le persone. Questo mi fa pensare che è stata veramente la partita del secolo”. La cosa più bella, racconta, è che

Dello stesso parere anche Boninsegna: “Nonostante gli anni è stata un’impresa che rimarrà nella storia. Non mi sarei mai aspettato che cinquant’anni dopo il ricordo rimanesse ancora così nitido. È stata un’alternanza di reti molto bella tra due corazzate che non avrebbero perso per nessun motivo”.
L’Italia, quindi, dopo trentadue anni era in finale del mondiale e per tutta la notte, nelle piazze italiane, l’impresa fu festeggiata come la vittoria del campionato stesso in attesa della finale vera e propria, anche e soprattutto tra i giocatori.
Lo stesso Enzo Bearzot, che ai tempi non era il “Vecio” campione del mondo, ma solo un attento collaboratore al seguito del ct Valcareggi, anni dopo dirà in un suo libro autobiografico a firma di Gigi Garanzini (Bcde Editore): “Dopo quell’indimenticabile battaglia, dopo i festeggiamenti in albergo , dopo che rischiai di morire annegato perché quel matto di Domenghini buttò in piscina anche me, tutto vestito, non sapendo che per il nuoto sono negato, dopo tutto questo ci furono due giorni interi passati a far valige, a comprare regali per le mogli, i figli, i genitori, perché il rientro prevedeva la partenza subito dopo la finale col Brasile. Preparativi che si sommavano al clima di euforia e davano la misura di quanto quei due tempi supplementari ci avessero mentalmente appagati”.

Bisognerà quindi aspettare dodici anni per portare a casa la Coppa Rimet, tornata in aereo con i brasiliani in quell’occasione, ma negli occhi degli oltre centomila spettatori presenti all’Azteca e nell’immaginario di milioni di persone Messico 70 sarà per sempre il mondiale del “Partido del Siglo”. (Andrea Regimenti, Agenzia Sir)

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