Messina in bianco e nero: Ettore Lombardo Pellegrino, “un soldino contro il Duce”

di Giuseppe Loteta – Ettore Lombardo Pellegrino. Quando l’ho conosciuto io, nel 1950, aveva ottantaquattro anni portati con dignità, baffoni alla Umberto I, cappello a larghe tese, passo svelto, bastone nodoso. Ed era stato reintegrato (a vita, per meriti antifascisti) nella cattedra di diritto costituzionale dell’Università di Messina, che aveva dovuto abbandonare all’avvento del regime mussoliniano. Negli anni venti del secolo scorso la città dello Stretto aveva provato a resistere all’avanzata e poi all’affermazione del fascismo in Italia. A cominciare dal sindacato, che aveva mobilitato interi ceti popolari, ferrovieri in testa, e da alcuni parlamentari: Francesco Lo Sardo, Ludovico Fulci, Luigi Fulci.

E Lombardo Pellegrino, deputato e fondatore in Sicilia del partito democratico del lavoro.
Il professore entra alla Camera con le elezioni del 1921. E due anni dopo è protagonista di un gustoso episodio che dice molto del suo carattere e del suo antifascismo. Mentre attraversa il Transatlantico di Montecitorio, incrocia il capo del governo, Mussolini, accompagnato da un deputato. E quest’ultimo approfitta dell’occasione per tentare un avvicinamento. Blocca Lombardo Pellegrino con una richiesta: “Onorevole, lei non conosce ancora sua eccellenza Mussolini?”. L’interpellato indurisce gli occhi, rotea il bastone, e risponde a voce alta: “Non lo conosco e non lo voglio conoscere”.
Lo Sardo era comunista. I Fulci di estrazione liberale e Lombardo Pellegrino riformista, ma accomunati dalla convinzione che Vittorio Emanuele III, pur avendo il 28 ottobre del 1922 rifiutato di decretare lo stato d’assedio e incaricato Mussolini di formare il governo, avrebbe impedito la nascita di un regime assolutista. E così Lombardo Pellegrino fonda in Sicilia il movimento del soldino. Si tratta della moneta da cinque centesimi (un soldo) che recava da un lato l’effigie del re e che gli aderenti al raggruppamento tenevano, saldata a un aggancio metallico, al bavero della giacca. Un’azione dei “soldinisti” avviene a Messina, nella notte tra il 6 e il 7 maggio del 1923, con l’assalto a una caserma della milizia fascista, dove erano custoditi quattrocento moschetti, e con una serie di piccoli tafferugli.
Ma era solo l’inizio. L’indomani le città siciliane sono attraversate da cortei di protesta contro il governo. Soprattutto Messina, dove tremila manifestanti occupano il centro e si scontrano con gruppi di fascisti. Mussolini non nasconde la sua preoccupazione e scrive ai prefetti: “Iniziate in alcune città della Sicilia, si sono svolte alcune manifestazioni sedicentemente realiste al grido viva il re abbasso il governo. I dimostranti portano il distintivo del soldino. Poiché lo scopo di tali manifestazioni a sfondo torbido è diretto contro il governo, la Signoria Vostra ha l’ordine di reprimere con la massima energia anche il semplice tentativo”. Prefetti e questori eseguono. Arresti in massa. E finisce in galera, anche se solo per pochi giorni, Lombardo Pellegrino, accusato di essere il capo della rivolta e l’estensore, sia pure con firma anonima, di un editoriale de “Il Lavoro”, organo demolaburista, in cui si chiedeva ai partiti che collaboravano con i fascisti nel governo di unirsi contro lo “strapotere” di Mussolini.

Il professore reagisce come può e presenta un’interpellanza parlamentare al capo del governo e ministro dell’Interno (Mussolini ricopriva entrambi gli incarichi). Vuole che si pronunci “sul disprezzo che, con la mia cattura per ordine superiore del ministro dell’Interno, senza altra ragione e senza alcuna esplicazione di competenza legale, si è fatto a Messina, nella notte del 10 maggio 1923, della mia libertà di cittadino e della mia immunità di deputato”. Qualche tempo dopo, quando il regime fascista era già consolidato, Mussolini minimizzò gli avvenimenti del 1923. “In questi cinque anni di regime fascista”, disse, “non vi è stata che la manifestazione collettiva del soldino e bastò l’apparire di poche autoblindo tra Messina e Palermo per farla finita”. Lombardo Pellegrino partecipò anche all’ultimo, tentativo di opposizione democratica alla dittatura, quando nel 1924, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, i deputati antifascisti abbandonarono il Parlamento per un simbolico ritiro sull’Aventino. Troppo tardi.
Non era una novità che il promotore del soldino avesse un carattere forte, per molti versi difficile, un carattere che non aveva subìto cambiamenti con il passare del tempo. Io ne ebbi la prova quando sostenni con lui l’esame di diritto costituzionale all’Università di Messina. Curiosa sessione, quella, satura di caldo estivo e di nervosismo. E il più strano dei miei esami. Prima di me, una serie di bocciati. E, per colmo di sfortuna, tutti calabresi, costretti a frequentare l’Università di Messina per l’assenza (allora) di istituti universitari nella loro regione. Ogni esame si concludeva con la stessa domanda, “Lei di dov’è?”.

E, alla risposta ,“Calabrese”, l’inevitabile conclusione: “Si faccia mettere l’Università in Calabria”.
Quando toccò a me, la domanda arrivò all’inizio: “E’ calabrese anche lei?”. Feci la faccia seria: “No, maestro, messinese”. Poi mi andò bene alla richiesta di parlare dell’articolo7 della Costituzione italiana. Mi interessavano fin da allora le vicende politiche e avevo seguito il dibattito all’Assemblea Costituente sul tema dei rapporti tra Stato e Chiesa. Non ebbi difficoltà a dilungarmi sull’argomento. Meno bene sugli altri quesiti, tra i quali uno, decisamente incomprensibile, sulla carta costituzionale jugoslava. Credevo, comunque, di essermela cavata. Ma, alla fine, il professore prese il mio libretto e me lo buttò davanti, sul tavolo che ci divideva. Voleva dire chiaramente “Si ritiri”. Dopo un attimo di esitazione, glielo restituii con delicatezza. Me lo ributtò e io glielo ridiedi.

E a questo punto lui si fermò ed estrasse la penna dal taschino, concludendo: “Lei sa poco, come tutti i messinesi, d’altronde. Diciotto punti, se ne vada”. Bizzarrie che nulla tolgono al valore e al coraggio di uno dei non molti parlamentari e dei pochissimi docenti universitari che seppero sfidare Mussolini a viso aperto.

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