Baraccopoli a Messina, il terremoto del 1908 solo un alibi

di Domenico Mazza – Quando il 10 agosto 1937 Benito Mussolini sbarcò a Messina dopo 15 anni dall’ultima volta che visitò la città dello Stretto, l’area urbana era un cantiere in fermento: la costruzione della grande stazione marittima e terrestre progettata da Angiolo Mazzoni avrebbe posto la parola fine a oltre trent’anni di demolizioni e ricostruzioni. Lo stesso Mussolini nel suo discorso durato ben 9 minuti, riconobbe la presenza di baracche ma promise che gli ultimi residuati del terremoto sarebbero spariti presto. In effetti, nel 1940 gli ultimi baraccamenti vennero demoliti e gli ultimi terremotati senza una degna dimora furono spostati verso nuovi caseggiati costruiti nell’area di via Taormina. Gli ultimi baraccamenti in legno riguardavano i profughi o i familiari di questi che prima del disastro abitavano le due Vie e le aree povere intorno Piazza Cairoli.

Come ebbe modo di ricordare lo storico Marco Grassi in precedenti interventi, nella via Taormina, già qualche mese prima l’arrivo di Mussolini, vennero inaugurate delle casupole in pomice (le famose “casette”) costruite in fretta e furia per pure ragioni propagandistiche. A questo punto mi sembra importante riportare l’analisi che nel 2020 il prof. Dario Caroniti, già assessore della giunta Buzzanca, diede su Facebook:

“Affermare che le baracche di Messina originano dal terremoto del 1908 è sbagliato, se intendiamo la data di costruzione del luogo fisico nel quale è stato realizzato il singolo alloggiamento precario: le ultime baracche di legno post terremoto furono abbattute nel 1940. Non va però dimenticato che queste furono sostituite da alloggi ultra popolari a una elevazione fuori terra, seppure in cemento armato, ai quali noi comunque attribuiamo il nome di baracca. Ritengo sia poi esatto affermare che gli attuali baraccamenti originino dal terremoto, perché è allora che nasce quella cultura che alimenta un modello costruttivo precario, funzionale all’ottenimento di una agevolazione statale e che ha prodotto a Messina il continuo risorgere di aree nelle quali fioriscono periodicamente costruzioni abusive, precarie, fatiscenti e insalubri. Mi sia consentita un’ultima considerazione, il fallimento delle politiche di risanamento a Messina ha prodotto almeno un risultato positivo, che la distingue da altre realtà metropolitane come Catania, Palermo o Napoli. Se lì sono sorti quartieri con enorme densità abitativa, che ha moltiplicato la diffusione e l’organizzazione della delinquenza, come nel caso dello Zen, di Librino o di Scampia, Messina si è in certo qual modo salvata da questi modelli. Il fallimento dello stato ha consentito che Messina avesse un livello di criminalità sensibilmente inferiore.”

Anche il sottoscritto, già nel 2018 in un post su Facebook (vedi foto), aveva fatto presente, riferendosi ad una sacrosanta distinzione fatta da Libero Gioveni, che quelle baracche non sono affatto quelle del 1909 ma erano il risultato di una subcultura che, aggiungo adesso, fu diffusa in tutto il Meridione fino a Roma a partire dal secondo dopoguerra. Si pensi al film di Ettore Scola “Brutti, Sporchi e Cattivi” con uno strepitoso Nino Manfredi. Un film che nel 1976 (badate bene la data) denunciava lo stato in cui versavano gli abitanti delle baracche di Roma.

Facciamo quindi chiarezza sull’origine di queste abitazioni fatiscenti. Sono di due tipi i baraccamenti che ad oggi umiliano la città di Messina e in particolare i messinesi che ci vivono. Abbiamo anzitutto un baraccamento figlio del mancato risanamento di quelle “casette” che dovevano rappresentare la città giardino immaginata nel dopo terremoto e invece finirono per diventare una periferia umana e sociale, fuori dall’occhio vigile dello stato. Il secondo tipo di baraccamento nacque “spontaneamente” su terreni spogli molti dei quali nei pressi di caseggiati popolari sorti nell’immediato dopoguerra. È il caso della baraccopoli di Fondo Fucile che sorse prevalentemente dal nulla.

È giusto che la TV mostri la vergogna di Messina ma è ancor più giusto che siano ben altri ad assumersi le responsabilità delle baraccopoli. Il terremoto non dovrebbe essere il pozzo profondo dove gettare colpe e responsabilità altrui oppure l’alibi che da oltre un secolo fa trionfare la “lentocrazia” che attanaglia amministrazione e politica. Si scriva pacificamente: le baracche di Messina non sono quelle del 1908.

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