“Come tu mi vuoi”, la ricerca dell’identità in ciascuno di noi

di Palmira Mancuso – Un buco nella memoria che è buco nell’anima. Chi ama Pirandello, o anche solo chi lo ha studiato distrattamente tra i banchi di scuola, non può che ritrovarne tutta la grandezza in “Come tu mi vuoi”, una delle sue opere meno frequentate dal teatro italiano, nella quale entra in gioco la memoria, non più come strumento di impostura, ma proprio come ricerca della propria identità.

Ci ha lasciato senza fiato Lucia Lavia, perfetta protagonista del dramma che mette in scena tutte le ossessioni di Pirandello, compresa la pazzia e l’amore di cui la moglie fu ostaggio: e non è un caso che quest’opera, pur se ufficialmente ispirata al più noto fatto di cronaca dell’epoca, il caso dello “smemorato di Collegno” risenta di quell’amaro verdetto che nel 1919 destinò per sempre Antonietta Portulano al ricovero in sanatorio: un delirio lungo quarant’anni, un abisso che lo scrittore non finì mai di esplorare.

L’ incertezza dell’ identità che ogni persona sembra cercare e trovare in se stessa ha toccato l’anima, in una rappresentazione scenica firmata da Luca De Fusco, che ha reso il tema dello sdoppiamento, dell’impostura, delle sovrastrutture immaginarie con cui interpretiamo noi stessi e gli altri, in una potente scenografia laser, che ha rafforzato il senso di questa disambiguità che è personale ma collettiva.

Il cast ha magnificamente supportato l’Ignota, che Lucia Lavia ha fatto arrivare al pubblico sillaba dopo sillaba, costruendo ricerca di senso in ogni parola, in ogni virgola, in ogni suono che si faceva carnale. Una prova d’attrice che probabilmente solo chi è cresciuta a pane e teatro poteva permettersi, facendo del proprio corpo esso stesso “lexì”, «un corpo senza nome in attesa di qualcuno che se lo prenda».

Il tema pirandelliano della fuga da se stessi, della possibile liberazione attraverso una vita nuova, sottratta alla memoria, con la cancellazione dei ricordi e con essi del dolore che l’ha attraversata (il motivo della guerra e delle rovine che lascia è sempre interiore, anche se il riferimento è alla guerra mondiale che pure Pirandello ha vissuto) ti lascia la sensazione di un dramma che continua.

Il sipario quindi resta aperto: l’applauso non è liberatorio, l’applauso è un grazie per averci messo dinanzi ad uno specchio, è condividere le stesse paure, è rimanere comodamente seduti in platea a guardare l’abisso con gli occhi di chi lo ha attraversato, avendo ancora la libertà di fuggirlo per non farsi igoiare.

 

 

 

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