Da “non capire una mazza” al generale Mazza: verità e falsi miti sul 1908

di Domenico Mazza  A volte, la storia di un uomo viene ridotta a una singola frase, a un aneddoto, o peggio, a un semplice detto popolare. Se chiedete a un italiano di associare il nome Mazza a qualcosa di storico, la risposta sarà quasi certamente, e con un sorriso, un’espressione di rassegnata inefficacia: “Non capire una mazza”. Questa è la prima e più duratura leggenda che avvolge la figura del Tenente Generale Francesco Mazza (1841-1924), l’ufficiale piemontese che ascese al rango di Conte e Senatore del Regno. La diceria popolare vuole che quel
modo di dire sia nato sui detriti del disastroso terremoto di Messina del 1908, quando Mazza fu inviato a gestire l’emergenza con un pugno di ferro così inefficace da diventare sinonimo di inettitudine.

Ma la storia di Francesco Mazza è molto più complessa: egli incarnò l’archetipo dell’ufficiale post-unitario, formatosi all’Accademia Militare di Torino e partecipante alle Guerre d’Indipendenza e alle Campagne d’Africa, un uomo sicuramente di merito e che raggiunse il grado di Tenente Generale. Mazza, inoltre, rappresentava fin dal tempo precedente al terremoto il braccio esecutivo dello Stato in Sicilia. Basterebbe rileggere saggi o resoconti dell’epoca per comprendere che l’isola era già stata militarizzata a partire dalla repressione della rivolta dei Fasci siciliani. Tuttavia, l’episodio che definì il suo destino fu l’incarico di Comandante delle operazioni a Messina. Di fronte al caos e al timore dei saccheggi, Mazza adottò la linea del rigore estremo, ma la sua rigidità lo condusse a gravi errori di superficialità e pianificazione: il più eclatante fu l’idea di sospendere la distribuzione dei viveri ai profughi per costringerli ad abbandonare l’area devastata.

Il piano folle di Mazza era infatti quello di costringere all’emigrazione la popolazione stanziata tra le rovine. Questa misura disumana fu fortunatamente bloccata grazie all’intervento risolutivo del Vescovo D’Arrigo e di personalità come Giuseppe Micheli, l’onorevole parmense che divenne de facto il “vicegovernatore” di Mazza.
La figura del generale è stata in seguito distorta e oscurata da persistenti miti e false narrazioni storiche. Innanzitutto, è falsa l’accusa di aver ordinato fucilazioni indiscriminate di innocenti. Sebbene Mazza avesse imposto un regime di ordine severissimo, i dati storici dimostrano che le persone arrestate furono meno di cento e il Tribunale di Guerra non emise alcuna condanna a morte, concludendo anzi con numerosi proscioglimenti (non luogo a procedere). Altrettanto infondata è l’accusa di aver ordinato il bombardamento della città. Messina non fu mai bombardata dalle navi da guerra attraccate nel porto!

Inoltre, Mazza non fu mai sfiduciato né rimosso per disonore. Il suo mandato si concluse nel febbraio 1909 con la naturale cessazione dello stato di emergenza estrema. Successivamente, tornò a Roma per presentare una relazione dettagliata e severa sull’accaduto che fu resa pubblica in marzo.
La ragione di tanta maldicenza è di natura politica: a differenza di gran parte degli alti comandi, Mazza non era massone, ma un fervente cattolico e un convinto “cadorniano” legato ai principi risorgimentali conservatori. Questa posizione lo rese un bersaglio vulnerabile, e le fazioni opposte sfruttarono il disastro come pretesto ideale per diffondere maldicenze e delegittimarlo. Mazza, difatti, era pienamente consapevole dell’ambiente politico “gelatinoso” che dominava la città, o perlomeno gli fu descritto da attendenti e aiutanti. Per questo motivo, il generale nutriva un particolare sospetto verso alcune componenti politiche locali e decise di dialogare unicamente con il mondo cattolico
cittadino. Si pensi, ad esempio, al politico la cui influenza sulla città crebbe a seguito del terremoto: il Duca di Cesarò, nipote di Sonnino, legato al neopaganesimo e ad ambienti massonici. Poco prima di morire, Mazza, ormai senatore, rifiutò l’invito del Duca ad aderire alla sua componente politica.

La storia di Francesco Mazza si conclude con un’ironia amara: sebbene non si sia macchiato dei terribili crimini attribuitigli, fu un uomo che commise gravi errori, di comando e di giudizio, e che fu sacrificato e diffamato in uno scontro politico. La sua condanna popolare è immortalata nel modo di dire “non capire una mazza”, ma la verità etimologica smentisce la leggenda: non esistono prove linguistiche che l’espressione derivi dalla sua inettitudine. Si tratta invece di un chiaro eufemismo per una frase volgare più esplicita, un sinonimo di “non capire un tubo” o “nulla”.

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