Stefano Argentino: il suicidio che rivela le ferite di un sistema carcerario e sociale in crisi

Alla luce dei tanti commenti sul suicidio di Stefano Argentino, pubblichiamo l’intervento di Angelo Fabio Costantino, già garante dei minori del Comune di Messina, che offre un toccante e lucido punto di vista sulla morte del giovane assassino, avvenuta nel carcere di Gazzi. Costantino invita a riflettere senza dimenticare l’umanità di un ragazzo che si è tolto la vita, e denuncia le profonde criticità del sistema penitenziario e sociale italiano, evidenziando come questa tragedia sia lo specchio di un Paese che fatica a tutelare sia le vittime che i detenuti. Di seguito, il suo appello coraggioso e commovente.
“Si è tolto la vita Stefano con le lenzuola portate in carcere da sua madre.
Si è ucciso in cella appendendosi al soffitto.
Voglio chiamarlo Stefano e non l’assassino di Sara Campanella, perché anche di fronte al suicidio di un ragazzo che si è macchiato di un delitto efferato non bisognerebbe perdere l’umanità.
Aveva 27 anni e non sarebbe più uscito dal circuito penale.
È morto suicida dentro un Istituto di pena, dentro uno di quelli dove ogni anno si tolgono la vita circa 100 detenuti.
Si è impiccato in carcere a Messina, a Gazzi, dove da anni i Sindacati denunciano la carenza di personale di sorveglianza ed educativo, dove le aggressioni agli agenti sono frequentissime, dove si è tentato di far entrare la droga con i droni, dove sono stati sequestrati telefoni e dove la stessa Direttrice nei mesi scorsi è stata aggredita dai detenuti.
La morte di questo ragazzo non cancella le sue responsabilità e non fa giustizia a Sara e alla sua famiglia ma consegna l’immagine di uno Stato che non sa proteggere le donne vittime di violenza e non sa garantire una giusta detenzione ai colpevoli.
Fin quando la salute mentale non diventerà una priorità di questo paese registreremo altre tragedie, altre morti, altre donne uccise da violenti e da malati.
Il suicidio di Stefano ci consegna una amara verità.
Sara poteva essere salvata, Sara avrebbe potuto laurearsi e realizzare i suoi sogni.
Se solo il sistema avesse funzionato Sara non sarebbe morta.
Molti dei politici che chiedono giustizia e si indignano sono gli stessi che tagliano la spesa pubblica per la sanità e per la salute mentale, che tagliano i fondi per la prevenzione e che non sostengono i centri antiviolenza.
Basterebbe convenzionare i Centri antiviolenza accreditati secondo parametri precisi, garantire loro sedi gratuite e fondi da rendicontare regolarmente.
Non basta rinchiudere in carcere gli assassini per sentirsi la coscienza pulita.
Bisogna garantirgli una giusta detenzione da paese civile quale è l’ Italia, in cui alla sicura detenzione, alla certezza della pena si associ l’assistenza sanitaria e dove possibile anche la rieducazione.
Dietro un delitto c’è spesso la disattenzione di uno Stato che non sa proteggere e non sa punire, che costruisce tragedie dentro la tragedia.
Mi auguro che almeno uno dei nostri Deputati o Senatori decida di chiedere una ispezione urgente nel carcere di Gazzi per certificare le condizioni in cui versa la struttura, le condizioni lavorative del personale e le condizioni in cui vivono i detenuti perché uno Stato degno di questo nome non invoca la vendetta, non lascia solo il personale non fa propaganda sul dolore.
Ho il cuore spezzato per Sara e per la sua famiglia a cui è stato negato persino il processo.
Non gioisco per la morte di Stefano ma provo una profonda pena”.

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