IANUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO A MESSINA: I RADICALI ” ECCO A COSA SERVE L’AMNISTIA”

 

 “E’ un dato oggettivo e non più un’opinione di alcuni che lo stato della giustizia nel nostro Paese abbia raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri Paesi democratici, per i quali l’Italia versa, da anni ed in modo permanente, in una situazione di sostanziale illegalità, tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo”. Questo quanto dichiarato dai radicali messinesi dell’Associazione Leonardo Sciascia, a commento dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

“Il diritto ad ottenere giustizia è garantito a tutti dalla Costituzione repubblicana, ma è oggi posto seriamente in discussione: le attuali condizioni degli uffici giudiziari italiani e del sistema giustizia nel complesso, unitamente ad una mancata riforma organica della normativa sostanziale e processuale, impediscono di fatto di assicurarlo in tempi brevi ed in modo efficace.

Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nella risoluzione del 2 dicembre 2010, ha posto sotto osservazione speciale lo stato della giustizia nel nostro Paese e ha ribadito che i tempi eccessivi nell’amministrazione della giustizia italiana pongono in discussione la stessa riconoscibilità nel nostro Paese di un vero e proprio Stato di Diritto, il che comporta il rischio di gravi sanzioni a carico dell’Italia, con disdoro internazionale dell’immagine dell’Italia e vanificazione dei sacrifici sopportati dai cittadini per costruire un Paese degno di far parte del gruppo di testa della Comunità europea.

Nel solo settore penale, negli ultimi dodici anni, a causa dell’eccessivo ed esorbitante numero dei procedimenti pendenti, sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione quasi due milioni di reati (in media, ogni anno, si registrano in Italia circa 165 mila prescrizioni), il che ha dato vita ad una vera e propria amnistia strisciante, crescente, nascosta, di classe e non governata.

L’elevato numero dei reati che ogni anno rimangono sostanzialmente impuniti, accompagnato all’enorme numero di processi pendenti e all’impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli, ha ormai determinato una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia tale da rendere sempre più concreto il pericolo che si ricorra a forme di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che al 31 dicembre 2012 ammontava a quasi 67 mila unità – a fronte di una capienza regolamentare di poco più di 45 mila posti -, produce un sovraffollamento insostenibile delle nostre strutture penitenziarie.

Il sovraffollamento, la mancanza di spazi, l’inadeguatezza delle strutture carcerarie, la carenza degli organici e del personale civile, lo stato di sofferenza in cui versa la sanità all’interno delle carceri, tutto ciò provoca una situazione contraria ai principi costituzionali ed alle norme del regolamento penitenziario impedendo il trattamento rieducativo e minando l’equilibrio psico-fisico dei detenuti, con incremento, negli ultimi anni, dei suicidi e di gravi malattie.

Il sovraffollamento rischia di assumere dimensioni tali da creare addirittura problemi di ordine pubblico; in questa situazione di emergenza la funzione rieducativa e riabilitativa della pena è venuta meno; il rapporto numerico tra detenuti ed educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall’ordinamento penitenziario. Tutto ciò rappresenta innanzitutto una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità – avendo commesso reati – in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto viene attuato in pratica ed è quotidianamente vissuto dagli operatori del settore e dai detenuti stessi.

L’enorme tasso di sovraffollamento comporta automaticamente porsi fuori dalle regole minime, costituzionalmente previste, della funzione rieducativa della pena per scadere in quei trattamenti contrari al senso di umanità sanzionati non solo dal nostro ordinamento giuridico, ma anche dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo se è vero, come è vero, che lo Stato italiano è stato più volte condannato – sulla base dell’art. 3 della Convenzione (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti) – a risarcire centinaia di migliaia di euro a numerosi detenuti per averli costretti a vivere all’interno delle proprie celle in spazi ridottissimi”.

I radicali, impegnati nella campagna elettorale per le politiche con la lista Amnistia Giustizia e Libertà, ripropongono il tema della giustizia, dichiarando la necessità di “uscire subito dalla flagranza di reato” attraverso l’amnistia.

“Senza l’amnistia e l’indulto non è pensabile realizzare una seria riforma della giustizia e, quindi, dar vita ad un progetto organico di interventi diretti a restituire credibilità ed efficienza all’intero sistema giudiziario, allo scopo di farlo funzionare e di fornire risposte rapide ed efficienti alle attese dei cittadini, nel contempo assicurando loro una ragionevole durata dei processi civili e penali, nel rispetto dell’articolo 111 della Costituzione, senza rinunziare alle altre garanzie costituzionali.

1. Rinnovamento della magistratura

1) Separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri. Con questa riforma si intende allineare il nostro ordinamento con quelli democratico-liberali. Salvaguardando l’indipendenza del pubblico ministero dai poteri politici, si tratta di realizzare la terzietà ed imparzialità del giudice dando così concreta attuazione ai principi del giusto processo contenuti nell’articolo 111 della Costituzione. Per attuare una reale separazione delle carriere è necessario spezzare il legame organizzativo che oggi unisce giudici e pubblici ministeri, creando quindi due organi di governo o, in subordine, dividendo il CSM in due sezioni.

2) Riforma del Consiglio Superiore della Magistratura. Il CSM è diventato di fatto l’organo di autogoverno della Magistratura, che è cosa radicalmente diversa dal governo della Magistratura autonomo non solo dai poteri politici, ma dalla stessa magistratura. Una magistratura autogovernata diventa un potere chiuso in se stesso, separato dalla società e in permanente conflitto con i poteri politici. Questa situazione va superata con una profonda riforma del CSM da attuare riducendo la componente elettiva di estrazione giudiziaria (in modo da impedire che questa controlli il Consiglio); inserendo in esso una rappresentanza delle altre professioni giuridiche (avvocatura e università), nonché aumentando la durata del mandato dei consiglieri e sfasando temporalmente le nomine, in modo da dare maggiore continuità all’organo (e ridurre l’eventuale influenza delle maggioranze parlamentari). Inoltre, visto il suo carattere estremamente indulgente, occorre sottrarre al CSM la competenza a giudicare della disciplina dei magistrati trasferendola ad un’Alta corte disciplinare.

3) Riforma del principio di obbligatorietà dell’azione penale. La riforma dei criteri concernenti l’obbligatorietà dell’azione penale, prevedendo un procedimento che veda la partecipazione dei pubblici ministeri e di altri soggetti istituzionali, che individui un soggetto istituzionale politicamente

responsabile di fronte al Parlamento per la loro effettiva ed uniforme implementazione a livello operativo;

4) Introduzione di un regime di responsabilità civile effettiva dei magistratinei confronti dei cittadini danneggiati da atti o provvedimenti giudiziari posti in essere con dolo o colpa grave. Attualmente la disciplina contenuta nella legge n. 117 del 1988 (vero e proprio tradimento del referendum “Tortora”, promosso dai radicali nel 1987 e vinto con oltre l’80% dei sì) è sostanzialmente disapplicata, perché contiene disposizioni che rendono di fatto impossibile affermare tale tipo di responsabilità. Proprio riferendosi al caso italiano, è stata la stessa Corte di giustizia della comunità europea, con alcune recenti sentenze, a stabilire che una legge che renda troppo difficile far valere la responsabilità civile del magistrato è incompatibile con il diritto comunitario. Su queste sentenze, ad oggi, è stranamente calato il silenzio, pur in un Paese che dell’europeismo ha fatto spesso la sua bandiera.

5) E’ necessario limitare o cancellare il numero dei magistrati fuori ruolo, in particolare di quelli distaccati presso i Ministeri, e soprattutto presso il Ministero della Giustizia. Questo indispensabile intervento vuole evitare che si sottraggano rilevanti risorse alla funzione giudiziaria; tende a difendere l’autonomia dell’indirizzo politico governativo dalle ingerenze giudiziarie; protegge la stessa autonomia e indipendenza della magistratura, che non può subire commistioni con l’attività dell’esecutivo. In ultima analisi si tratta di ripristinare lo stesso principio della divisione dei poteri.

6) Da ultimo è necessario intervenire con nuove regole per disciplinare ildiritto di elettorato passivo dei magistrati alle cariche politiche. Quello dei magistrati in politica, per quantità e qualità, è un fenomeno che non ha eguali in nessuna altra democrazia occidentale. Senza negare che l’elettorato passivo è un diritto fondamentale, che spetta a chiunque, si tratta di evitare, in particolare per i pubblici ministeri, che l’ingresso in politica si presenti come la naturale prosecuzione di un esercizio partigiano dell’azione penale. A questo scopo appare opportuno introdurre regole più stringenti stabilendo, ad esempio, che l’eleggibilità sia condizionata non alla semplice messa in aspettativa ma alle dimissioni, da presentare inderogabilmente un certo numero di anni prima delle elezioni.

Se certamente vi è anche un problema di quantità di risorse adibite all’amministrazione della giustizia (i dati di comparazione con Paesi europei omologhi quanto a strutture giudiziarie dimostrano peraltro che in Italia le risorse finanziarie non sono inferiori), il problema più rilevante è la gestione di tali risorse. Il rimedio insomma non è nella ricerca di nuove regole processuali (le norme non possono tutto): anche in questo settore infatti l’organizzazione del lavoro è fondamentale. A questo scopo bisogna prendere atto che un valente magistrato non è detto abbia capacità direttive, organizzative e manageriali. E’ forte dunque la necessità di inserire negli Uffici giudiziari anche figure di estrazione e competenze manageriali (il “manager” di tribunale) e di prevedere forme di raccordo fra capi degli uffici, dirigenti amministrativi e avvocatura.

Quanto all’organizzazione dell’attività processuale la durata irragionevole ha la sua causa principale nei “tempi morti”: stasi rilevantissime di ogni attività, il più delle volte determinate da carenze di organico e di distribuzione irrazionale delle medesime. Non c’è dubbio che vi concorra anche una disciplina processuale spesso farraginosa (basti pensare al sistema delle notificazioni), che va certamente eliminata e/o modificata, nella consapevolezza però che si tratta di un intervento di seconda battuta”.

Concludendo il loro lungo comunicato, i radicali ricordano che ” i  tagli prospettati dal governo, per quanto riguarda gli organici dei magistrati in Sicilia e a Messina, rappresentano ancora una volta la volontà di marginalizzare il nostro territorio condannandolo al potere malavitoso e alla corruzione pubblica e privata.

Le condizioni subumane del carcere di Gazzi non sono altro che il risultato del fallimento di ogni opera di recupero dei detenuti e di ritorsione per coloro che sono in attesa di giudizio.

Il mancato utilizzo dei fondi per risolvere la situazione drammatica dell’OPG di Barcellona dimostra l’incapacità e l’inadeguatezza delle pubbliche amministrazioni locali e regionali.

La vicenda poi del secondo palazzo di giustizia e il “balletto” del bando riguardante l’immobile di via Bonino non è che lo scandalo nello scandalo complessivo della città di Messina”.

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