MASSIMO CACCIARI: “L’EUROPA HA LA FILOSOFIA PER AFFRONTARE L’UMANITA’ DELL’UMANO”

Poche occasioni permettono di sentire  Messina viva, ricca di sapere, di scambi di sapere, lontano dall’umidità che ci rende tanto “sciroccati” e dal vento che ci rende il più delle volte “stonati” e noncuranti di ciò che accade attorno. Ma non oggi, non questo pomeriggio. Il prof. Massimo Cacciari, conosciuto ai più come politico ed ex sindaco di Venezia, ma soprattutto filosofo, studioso di filosofia, saggista, professore emerito dell’Università S. Raffaele di Milano, riconosciuto non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, ha tenuto due appuntamenti importanti non solo per l’Università di Messina, ma soprattutto per la città stessa.

Il primo presso l’aula magna del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne alle 15.30, il secondo nell’Aula Magna del Rettorato, alle 18.30, avente per oggetto la presentazione del volume curato dal prof. Nicola Aricò Architettura del tardo Rinascimento in Sicilia. Giovannangelo Montorsoli a Messina (1547-57), con la presenza del Rettore Pietro Navarra e dei professori Enzo Bentivoglio, Giovanni Lombardo.

Raccontando più in profondità l’intervento di Cacciari tenuto alle 15. 30, questi ha presentato, davanti ad un’aula completamente gremita ed entusiasta, attraverso una lectio magistralis, il volume collettaneo L’evento dell’ospitalità tra etica, politica e gelo filosofia. Per Caterina Resta (ed. Mimesis) di P. Amato, R. Fulco, S. Geraci, S. Gorgone, F. Saffioti, V. Surace.

Nel percorso delineato. Cacciari, alla presenza del neodirettore del DiCAM, Marianna Gensabella, e della professoressa Caterina Resta, ha innanzitutto indagato il ruolo del “maestro”, come colui che ha il compito, spesso inconsapevole, di condurre l’allievo in un cammino che assume la forma di un “labirinto capovolto”, capace di far sorgere problemi, domande, questioni che incitano, sollecitano,  il filoso-fare: “il maestro apre strade, che in realtà non sono le sue. In questo Erfahrung, in questo cammino, può solo accompagnare e non sapere”.

Mantenere la filosofia dentro un linguaggio formale non farebbe altro che risolvere immediatamente tutte quelle questioni cruciali che attanagliano lo stesso pensare filosofico da secoli. Quello che la filosofia propriamente “fa” per Cacciari avviene a partire da una pratica costante, dall’ergon vivo in pensatori importanti come Platone (del quale  Cacciari ha ricordato il prassismo nell’uso di verbi che rimandano alla concretezza) ed Heidegger: “questa concretezza muove la filosofia, costituita come l’indagine di quell’uomo, quale animale speciale, che assume il logos (λόγος) come collante, armonia, collegamento”.

Secondo Cacciari, dunque, è doveroso dare spazio e importanza alla filosofia, che subisce, invece, sempre un maggiore arretramento in questa epoca infelice, perché questa è del mondo, è calata in un concreto, lontana da astrattezze a prova di “nuvole” aristofanee. Un concreto già intuito dai greci, nel riferimento al famoso passo del discorso di Pericle del grande storico Tucidide, in cui si chiamavano sophoi i filosofi che costituiscono “sapienza, saggezza, specialismi che fanno parte della polis”.

Per questa ragione, Cacciari arriva, così, a concepire una “filosofia della co-scienza”, in cui le scienze sono in connessione stretta al sapere speculativo, costruendo così un sapere enciclopedico, la cui figura è caratterizzata dal filosofo “istorico”, nel senso di “colui che ha visto, che ha fatto esperienza della sua epoca”. Questa filosofia, che si rafforza negli specialismi, è capace di mettere in relazione grazie al logos, ragion per cui diventa “logica della relazione”.

Dice Cacciari, riferendosi all’attività di ricerca di Caterina Resta: “E’ stata capace di mettere in discussione la vocazione della filosofia. La sua è un’esigenza eroica, attraverso cui mostra un’epoca servendosi dei maledetti e spietati realisti Nietzsche, Schmitt, Jünger”. Pensatori centrali per il Novecento, ancora più importanti a fronte di una realtà che pone il problema della forma: “la nostra è l’epoca dello sradicamento, della non-misura, a partire sicuramente dallo sradicamento dell’idea di sovranità. L’incompiutezza ontologica caratterizzante di questo nostro tempo è la condanna all’impotenza a morire”.

Nell’analisi di Cacciari però, l’epoca del dominio della scienza, già era stata predetta da Hegel, che, nella Prefazione alla Fenomelogia dello Spirito, scriveva: «contribuire al fatto che la filosofia si avvicini alla forma della scienza – alla meta in cui possa deporre il proprio nome di amore per il sapere per diventare sapere reale – è ciò che io mi sono proposto. L’interiore necessità che il sapere sia scienza risiede nella sua natura, e il chiarimento che soddisfa ciò è unicamente la presentazione della filosofia stessa». Secondo Cacciari “questo pensiero di pensiero è perfetto sapere. Non più filo-sofia in attesa di un sapere, ma saputa, storia compiuta. Se, dunque, la filosofia si è trasformata in sapere, perché, si chiede Cacciari, deve rimanere sotto le vesti di un’amante? Perché deve rispondere ad una vocazione, ad un pathos? “Se riteniamo che la filosofia si sia compiuta, possiamo cadere nel rischio di un pensiero che rimane radicalmente impensato. Non ci può essere continuo decostruire, ma è necessario stabilire una relazione, ritornando ad analizzare la cosa stessa: ecco la fenomenologia dell’ospitalità così profondamente indagata da Caterina Resta”. L’altro (che è centrale in pensieri contemporanei come quelli di Lévinas o Derrida) è più necessario rispetto ad una filosofia del compimento, dal momento che investe direttamente l’ethos nel senso originario del soggiornare, dell’abitare, della “sede”.

Ciò che, dunque, Cacciari propone è un rovesciamento: dalla filosofia come tradizione metafisica, volontà di sapere-potenza (che potremmo incarnare nel detto baconiano “scientia est potentia”), alla sophia della philia, al sapere dell’amore, in cui mettere in discussione il linguaggio della patria potestas, della problematizzazione della nostra civiltà. Si chiede Cacciari: “possiamo parlare non ʽin patriaʼ? C’è dato un linguaggio ʽin matriaʼ? L’unico modo sarebbe il silenzio, ma Caterina Resta pone un meridiano estremo, uno sprofondare oltre la dimensione del logos, una voce pre-logica, che lascia traccia in una scrittura arcaica nel senso dell’archè, dell’origine, del principio”.

A fronte, dunque, di un altro che non è l’alter-ego, ma che può presentarsi come ospite, nemico, amico, padre, madre, la professoressa Caterina Resta ha voluto sottolineare come la sua voce, nella sua attività di ricerca che va avanti da molti anni, è ʽaltraʼ nel senso che non è femminista, non è semplice sovvertimento patriarcale, ma è lingua della figlia, somigliante a quella dello straniero, che ha un timbro diverso, che è “lingua dell’invocazione, della preghiera che chiede accoglienza”.

Dopo i tragici eventi recenti che fanno intuire una sempre maggiore incapacità della politica di una gestione, ma soprattutto di un pensiero dell’ospitalità dello straniero, secondo Cacciari le nazioni dovrebbero costituire un’Europa capace di capire che questa ha la filosofia, che ama, accoglie, cura e protegge e che non miete morti e povertà, ma che pensa al di là delle strutture economiche e affronta, invece, direttamente l’umanità dell’umano. (CLARISSA COMUNALE)

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