LA GRANDE BELLEZZA O IL GRANDE BLUFF?

E’ di ieri la notizia della vittoria del Golden Globe come miglior film straniero de La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, che già infuriano (si fa per dire) le polemiche in casa nostra: come spesso capita le tifoserie si affrontano una di fronte all’altra; da un lato chi si strappa le vesti di fronte a un capolavoro che ci fa sentire l’eco dell’epoca d’oro felliniana, quelli che Toni Servillo, il miglior attore dell’Universo intero (nonché maestro di eleganza, come ha dimostrato recentemente)*;  dall’altro i detrattori, brutti, sporchi, cattivi, disfattisti, quelli che non ti è piaciuto perché il film parla di te.
E come sottrarsi alla battaglia? Come non cogliere l’occasione di aumentare le letture parlando dell’argomento più caldo del momento (cinematograficamente parlando, ovviamente)?
La prima domanda è: si può nel Gennaio 2014 fare una critica a La Grande Bellezza di Sorrentino senza essere accusati di anti patriottismo?
Perché per chi scrive il film non è affatto un capolavoro, ha un problema grande come Roma di notte, e qualunque accusa di disfattismo non può cancellare il fatto che al film manca completamente una struttura drammaturgica degna di questo nome, in soldoni è un film privo di storia. E visto che raccontare una storia è il motivo principale per cui si dovrebbe girare un film, la cosa non va bene per niente. Jep Gambardella, interpretato da Toni Servillo, attraversa il film raccontandoci pezzi di degrado intellettuale dell’ambiente radical-chic romano, senza nessun legame tra loro, senza un’evoluzione che lo tocchi minimamente. Ci sono momenti bellissimi, scene esteticamente mozzafiato, abili movimenti di macchina, non lo nego: ma tutte queste cose sono al servizio di sè stesse, di un’estetica che anzichè essere messa al servizio di qualcosa di più alto, è messa al servizio di uno specchio su cui si guarda e a cui ripete: “quanto sono bella”. E questa è la cosa che fa più rabbia.
Criticare La Grande Bellezza non significa criticare Sorrentino, che resta uno dei più bravi registi che abbiamo qua in Italia, e non significa essere disfattisti, né antipatriottici: anche perché, a prescindere da tutto, la vittoria di un film italiano non so quanto bene possa fare al cinema italiano; a prescindere dal giudizio su La Grande Bellezza il cinema italiano resta un corpo senza vita, e premi come questo servono solo ad alimentare le false speranze di chi sostiene che in fondo non stiamo così male (che poi sono quelli che si avventurano in goffi tentativi di rivalutare i cinepanettoni o gente come Vanzina).
Un paio di momenti ben riusciti non bastano a fare di un film un bel film, e nemmeno un paio di premi possono compiere questo miracolo.

* Nel video linkato Servillo è stato un gran cafone.

(U.P.)

 

La Grande Bellezza è un film oggettivamente bellissimo. Abile ad esplorare il niente che racconta, forse poco onesto nel confezionare il suo niente, disarmante e dichiaratamente annichilito, come l’epocale imprescindibile ritratto di una generazione, anche se descrive con la potenza dei dettagli la monotona esistenza di una piccola comunità parallela e invisibile ai più. Pecca di sicuro nel forzare i collegamenti con Fellini che già saltano agli occhi, ma non è dato definire in modo netto quanto i riferimenti siano espliciti, quanto invocati da spettatori e critica e quanto invece concepiti come omaggio a una tradizione cinematografica innegabilmente gloriosa. È purtroppo palese che ad essi si affianchi una serie di voragini narrative, burroni drammaturgici solo parzialmente scaturiti da una scelta, a differenza del privilegiare il senso estetico, intento dichiarato sin dal primo minuto. Il gusto sorrentiniano non è di sicuro una novità, specialmente se pensiamo ai movimenti di macchina, alla fotografia, alle inquadrature: come la muove lui la macchina da presa non la muove nessuno in Italia e pochi al mondo. Basta l’estetica a farlo diventare un capolavoro? Nonostante dal punto di vista visivo incanti, Ho la sensazione che dal punto di vista narrativo aggiunga troppa carne al fuoco a quello che si rivela più che altro fumo, e per quanto sia coerente non può bastare. Ma non è questo il punto: è un film bellissimo. Ma un premio ad un film non è un premio ad una nazione, e il cinema italiano continua ad essere detestabile, nonostante Sorrentino, le cui pennellate restano meravigliose e impeccabili. Per non parlare di Servillo, talmente calato nelle visioni di Sorrentino da esserne parte integrante, quasi scenografia. Tuttavia un premio non aggiunge o toglie niente ad un film, ed è già difficile che un film aggiunga o tolga niente a una nazione.

(Martina Morabito)

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