INCHIESTA: CANNNABIS TERAPEUTICA, DEPENALIZZAZIONE E PROPOSTE DI LEGGE

Promuovere l’uso terapeutico della canapa medicinale attraverso la coltivazione e la fornitura ai pazienti affetti da patologie gravi come la sclerosi multipla, il cancro, il dolore cronico, la sla, il parkinson e tantissime altre patologie – oltre a fornire supporto informativo e morale ai malati che devono convivere quotidianamente con i sintomi arrecati da gravi malattie – è quanto si premura di fare l’Associazione No Profit “LapianTiamo”, uno dei primi “Cannabis Social Club” sorti in italia, precisamente a Racale, provincia di Lecce, per combattere l’assurda burocrazia che limita un diritto inviolabile per l’uomo: il diritto alla salute e la libertà di cura,  come garantito dall’articolo 32 della Costituzione.

Potrebbe essere proprio questo il fine ultimo di numerose associazioni o “Cannabis Social Club” se l’italia, seguendo la strada apparentemente intrapresa dall’Onu, decidesse di depenalizzare definitivamente l’uso delle droghe leggere.

 “La depenalizzazione del consumo di droga può essere una forma efficace per decongestionare le carceri, redistribuire le risorse in modo da assegnarle alle cure e facilitare la riabilitazione”, questo è quanto si legge , infatti, in un rapporto di 22 pagine dell’Ufficio delle Nazioni Unite sulle droghe e il Crimine (Unodc), rapporto che segna un punto di svolta storico perché per la prima volta l’Onu fa un esplicito riferimento alla depenalizzazione della Marijuana e dei suoi derivati.

La depenalizzazione del consumo personale – che gia’ si applica in alcuni Paesi europei, in Canada e in Australia, e in alcune nazioni latinoamericane come il Brasile e il Cile – prevede che l’uso di droghe non sia un reato, stabilendo pene alternative, come multe o terapie, al carcere.

In Uruguay e’ stata legalizzata la compravendita e la coltivazione della marijuana, con un’agenzia statale che fa da ente regolatore.

La depenalizzazione non prevede in alcun modo la legalizzazione ne’ la liberalizzazione dell’accesso alla droga che, secondo i trattati, si puo’ usare solo a fini terapeutici e scientifici, e mai per piacere personale; per cui, il consumo continuerebbe ad essere sanzionabile (con multe o terapie obbligatorie), ma non sarebbe piu’ un reato penale. Nel rapporto l’agenzia Onu rileva che “i trattati consigliano il ricorso ad alternative alla prigione” e sottolinea che si devono considerare i consumatori di stupefacenti come “pazienti in cura” e non come “delinquenti“.

La questione è complessa e investe vari ambiti della nostra vita, compresa la morale, ma è fuor di dubbio che nella riunione che si terrà venerdì 14 Marzo a Vienna, la questione “depenalizzazione “ verrà per la prima volta presa seriamente in considerazione soprattutto per le numerose conferme che negli ultimi anni giungono da più parti, soprattutto dal mondo della scienza, riguardo i benefici del THC tetraidrocannabinolo, il principio attivo della Canapa, fonte non soltanto di potenziali alterazioni psicofisiche ma potente mezzo per la lotta contro patologie gravi e debilitanti. Ad oggi, però, nonostante le numerose battaglie  condotte negli ultimi 15 anni dai partiti antiproibizionisti, con Rita Bernardini dei Radicali in primissima fila, e nonostante la legge lo consenta, i malati di patologie gravi e per le quali sono stati riscontrati effetti benefici dall’assunzione di cannabis, incontrano numerose barriere, burocratiche e culturali, che ostacolano il loro diritto di autodeterminarsi, il diritto di scegliere le cure relative alle proprie malattie, come si legge anche in una proposta di legge dei parlamentari Gozi e Zaccagnini, del 28 giugno 2013.

Sveltire la burocrazia, almeno davanti a questioni vitali, sarebbe un passo avanti per il nostro paese, un tempo culla dell’arte e del pensiero libero ed oggi forse rinchiuso all’interno di sterili arene politiche fine a se stesse.

Il “CSC“di Racale rappresenta una novità assoluta nel panorama italiano, un luogo dove seguire la crescita di piante di canapa e fare ricerca insieme alle Università, essendo il primo “Cannabis Social Club” Italiano sorto grazie al desiderio e alla disperazione di un gruppo di persone affette da gravi patologie e stanche di scontrarsi con una burocrazia che rende il “Bedocran”, l’unico farmaco legale  a base di infiorescenze di cannabis indica, difficile da reperire in italia a causa della riluttanza alla prescrizione da parte della classe medica per via proprio della disomogeneità della legislazione sanitaria.

Confrontarsi seriamente sulla necessità di consentire la nascita dei “Cannabis Social Club”, come già fatto in altre nazioni,  potrebbe segnare la strada, indicare una via civile per sdoganare definitivamente una pianta, la canapa, ancora oggi erroneamente ostracizzata e  criminalizzata ma che per molti malati di tutto il mondo rappresenta una certezza per condurre una vita quanto meno dignitosa.

In tal senso, una sentenza della corte di Cassazione del Marzo 2013 ha stabilito che: “ sarebbe arbitrario distinguere fra coltivazione tecnico-agricola, agricola e coltivazione domestica”, sentenza che è stata presa in considerazione dai giudici del Tribunale di Messina quando, lo scorso anno, hanno assolto due donne, rispettivamente di 31 e 39 anni, accusate di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti perchè trovate in possesso di tre piantine di marijuana nella loro abitazione.

Le due donne, assolte con formula piena, sono state difese dall’avvocato Marco Di Mauro che ha fatto valere il principio espresso dalla Cassazione nella sentenza 25674 che specifica l’assenza di pericolosità del gesto , non punibile penalmente, come invece richiedeva la legge in caso di coltivazione di sostanze stupefacenti.

In pratica, la sentenza chiarisce anche il principio di “offensività”, nel senso che coltivare in casa non “offende” l’interesse della collettività perché non alimenta il mercato dello spaccio, ovviamente se si tratta di modiche quantità e sempre considerato un uso personale della droga.

Le due messinesi sono state, inoltre, tra le prime in Italia ad aver ottenuto l’assoluzione attraverso il principio espresso dalla Corte di Cassazione.

Rimanendo ancorati al nostro territorio, Messina risulta essere una città con il “pollice verde”, non soltanto per i numerosi consumatori di cannabis presenti in tutte le fasce di età ma anche per la presenza sul territorio dell’associazione Free Weed, associazione No profit, apartitica ed indipendente, che promuove iniziative popolari, referendarie e legislative per depenalizzare e regolamentare il consumo e l’autoproduzione di Cannabis, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sui principali temi e, soprattutto, i vantaggi della legalizzazione che, tra quelli di natura “etico-sociale”, vede sicuramente al primo posto la possibilità di assestare un vero colpo da Ko a quel circuito criminale che la normativa sugli stupefacenti attualmente in vigore mira a reprimere.

Una battaglia che ha quindi  come scopo la modifica dell’attuale normativa che indica che gli unici soggetti autorizzati a coltivare cannabis con alto tenore di principio attivo sono gli enti o Istituti di ricerca per finalità scientifiche come Università, cliniche universitarie e le farmaceutiche civili e militari autorizzate dal Ministero della Salute, ma che ancora limita quei consumatori che decidono di “auto-coltivare” le proprie piante senza finanziare il narcotraffico e per scopi non sempre ricreativi ma in certi casi di vitale importanza.

Per questo motivo riconoscere il “diritto alla salute” e la “libertà di cura”, concedendo ai “Cannabis Social Club” l’approvvigionamento della canapa a scopo terapeutico rendendola pertanto disponibile a chi ne ha bisogno, non dovrebbe risultare come una scelta scomoda o azzardata ma bensì come il tentativo di tutelare una vita, il desiderio di difendere i malati con l’obiettivo di ridare loro speranza e sollievo o, ancor più importante, restituire loro la dignità. FRANCESCO ALGERI (@fralgeri)

 

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